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Cavallo di Troia, dal II Libro dell’Eneide

Il Cavallo di Troia è il gigantesco cavallo di legno ideato da Ulisse, al termine della guerra di Troia, che i Greci abbandonarono sulla spiaggia davanti alle mura della città; poi i Greci finsero di partire. All’interno del cavallo erano nascosti i migliori soldati greci. I Troiani lo credettero un dono agli dèi e lo introdussero in città.

Durante la notte, i Greci uscirono dal cavallo e aprirono le porte della città all’esercito, che la conquistò e incendiò. Secondo la tradizione, la conquista e la distruzione di Troia da parte dei Greci avvenne il 24 aprile del 1184 a. C.

Questo racconto è ampiamente riferito nel II Libro dell’Eneide di Virgilio. Enea, esule troiano, lo riferisce a Didone, regina di Cartagine. La regina lo sta ospitando in una delle tappe del viaggio che lo porterà infine a sbarcare sulle coste del Lazio, dove diventerà il capostipite della genealogia che avrebbe fondato Roma.

Il cavallo di Troia – il racconto di Enea

Enea racconta che, dopo dieci anni di inutili combattimenti tra Greci e Troiani (è la guerra di Troia), i primi fingono di ripartire per la Grecia, abbandonando sulla spiaggia davanti a Troia un enorme cavallo di legno.

Il cavallo all’apparenza sembra un’offerta agli dèi, in realtà invece contiene nel proprio ventre vuoto un gruppetto di guerrieri Greci.

I Troiani vogliono trascinarlo entro le mura della città ma Laocoonte, sacerdote di Nettuno, intuisce il pericolo e si oppone all’idea di accettare il presunto dono: «temo i Danai (i Greci) anche quando recano doni» (II, 49) – dice – e scaglia una lancia contro il cavallo, che produce un suono come se il ventre fosse vuoto.

Subito dopo fa la sua comparsa il greco Sinone, finto disertore. Questi convince i Troiani ad accogliere il cavallo come dono propiziatorio offerto alla dea Minerva, ostile ai Greci dopo che Ulisse e Diomede ne hanno rapito l’effigie (il Palladio) dalla rocca di Troia.

È a questo punto che interviene la scena spaventosa (raffigurata in un celebre gruppo scultoreo, clicca qui) della uccisione di Laocoonte e dei suoi figlioletti.

L’uccisione di Laocoonte e dei suoi figli

Proprio mentre il sacerdote sta compiendo un rito sacrificale, due smisurati serpenti escono dal mare e lo aggrediscono: stritolano prima i due ragazzi e poi il padre. Laocoonte muore come un toro (cioè simile al toro che si accingeva a sacrificare) che mugge e lotta disperatamente per sfuggire ai colpi micidiale della scure: tale è la similitudine di Virgilio.

Poi, i mostri si allontanano verso la rocca e si rifugiano sotto la statua di Minerva.

I Troiani terrorizzati si convincono che il cavallo di legno è davvero un dono sacro alla dea e perciò Laocoonte è stato punito per averlo violato; lo accolgono quindi nella città.

Il seguito è notissimo: durante la notte, i guerrieri nascosti nel cavallo (tra essi: Ulisse, Diomede, Neottolemo) aprono ai loro compagni le porte della città, che è così distrutta e incendiata.

Recenti scoperte archeologiche fanno pensare che in realtà il “cavallo di Troia” fosse una nave da guerra.

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