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Il movimento femminista: la battaglia delle donne

Il movimento femminista si sviluppa negli anni ’60 e ’70 del Novecento, contemporaneamente alla contestazione giovanile. Le donne aspirano al ruolo di protagoniste della loro esistenza, da secoli condizionata alle esigenze di una società maschile.

Sebbene nel mondo occidentale, dopo la Seconda guerra mondiale, le donne avessero ottenuto il riconoscimento dei diritti politici e l’accesso all’istruzione superiore e al mondo del lavoro (per un approfondimento sulla Storia dell’emancipazione femminile clicca qui), non erano state affrancate dai ruoli tradizionali che erano stati riservati loro da sempre.

Il modello maschile basato sul patriarcato fu negato dal movimento femminista come valore, perché esso imponeva non solo l’oppressione delle donne, ma anche la repressione dei bisogni e dei desideri. Allo stesso modo, fu criticata la dottrina della Chiesa imperniata su una visione tradizionale della natura e del ruolo delle donne.

Gli obiettivi perseguiti dal movimento femminista erano, in genere, la legalizzazione dell’aborto, la possibilità di gestire il proprio corpo, il diritto alla sessualità e alla contraccezione, gli aiuti alla maternità e l’eliminazione di pratiche e atteggiamenti discriminatori in tutti i campi della vita sociale. In Italia, si aggiungeva l’introduzione del divorzio, approvato dal Parlamento nel 1970 e confermato dal referendum del 1974.

Queste tematiche emergevano attraverso slogan come «l’utero è mio e lo gestisco io», «io sono mia» e «non siamo macchine per la riproduzione, ma donne in lotta per la liberazione». Furono organizzate iniziative pubbliche che ebbero una grande risonanza mediatica: nel 1968, ad esempio, alcune femministe americane, polemizzando con l’immagine della donna incentrata solo sulla bellezza femminile, inscenarono la «sepoltura della femminilità tradizionale» con una fiaccolata al cimitero nazionale di Arlington, incoronarono Miss America una pecora e gettarono reggiseni, busti e ciglia finte nella «pattumiera della libertà».

Le lotte dei movimenti femministi condussero all’approvazione di numerose riforme in tema di diritti civili e sociali. In Italia, ad esempio, la pressione politica esercitata dal movimento femminista contribuì a far approvare dal Parlamento il nuovo diritto di famiglia (1975), che aboliva la patria potestas dei mariti e la sostituiva con la pari potestà di entrambi i genitori. Con la legge 9 dicembre 1977 n. 903, fu poi vietata ogni discriminazione sulla base del sesso in ambito lavorativo mentre, nel 1978, la Corte costituzionale dichiarò illegittimo l’articolo 546 del Codice penale che puniva penalmente l’aborto e il Parlamento approvò la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, poi confermata dal referendum del 1981.

A partire dalla fine degli anni ’80, sono state affrontate questioni come la violenza sulle donne, il maltrattamento e le molestie sessuali, lo stalking (forma di persecuzione ripetuta e ossessiva, come pedinamenti, telefonate, ecc.) con la costituzione di gruppi antiviolenza e la realizzazione di case per le donne maltrattate.

In Italia, negli ultimi due decenni c’è stato un importante superamento di alcune norme discriminatorie nei confronti delle donne: ad esempio, sono state promosse molte azioni positive per la realizzazione di pari opportunità tra i lavoratori e le lavoratrici (legge 10 aprile 1991 n. 125) e, nel 1996, la violenza sessuale ha cessato finalmente di essere considerata un reato contro la morale pubblica e il buon costume per diventare un reato contro la persona. Nel 2003 è stato inoltre modificato l’articolo 51 della Costituzione italiana e la Repubblica italiana si è impegnata a promuovere «con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini».

Nonostante questi progressi, permangono ancora molte discriminazioni nei confronti delle donne, che, soprattutto in Italia, sono ancora poco presenti nei ruoli dirigenziali e negli organi politici e di governo.

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