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Il principe di Niccolò Machiavelli: struttura, temi e stile

Il Principe di Niccolò Machiavelli è un breve trattato politico scritto nel 1513, durante il soggiorno forzato di Machiavelli all’Albergaccio, presso il suo podere agricolo a San Casciano, dove era stato confinato in seguito al fallito colpo di stato contro i Medici l’anno prima.

L’opera circolò in forma manoscritta e fu pubblicato solo nel 1532, dopo la morte di Machiavelli (1527).

Chi è il destinatario del Principe di Niccolò Machiavelli?

Machiavelli dedica il suo breve trattato a Lorenzo di Piero de’ Medici, figlio di Piero II de’ Medici e nipote di Lorenzo il Magnifico, in occasione del ritorno dei Medici a Firenze, nel tentativo di accreditarsi nuovamente presso la famiglia e ottenere un nuovo incarico politico. In un primo tempo però Machiavelli aveva pensato di dedicare il trattato a Giuliano de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, morto poi prematuramente nel 1516.

Il Principe di Machiavelli – la struttura

Il Principe di Niccolò Machiavelli è composto da una lettera dedicatoria a Lorenzo di Piero de’ Medici e da 26 capitoli brevi. Ogni capitolo è preceduto da una rubrica in latino, che sintetizza l’argomento trattato.

L’opera può essere così suddivisa:

– i capitoli II-XI analizzano i vari tipi di principati esistenti: ereditari, misti (cioè quelli che si aggiungono come nuova conquista a uno Stato ereditario), nuovi;

– i capitoli XII-XIV trattano della necessità di organizzare un forte esercito, preferibilmente costituito dai cittadini e non da mercenari che combattono solo per il denaro e non per amor di patria;

– capitoli XV-XXIII delineano la figura del principe ideale;

– il capitolo XXIV e il capitolo XXV analizzano il rapporto virtù-fortuna;

– infine, l’esortazione finale ai Medici (capitolo XXVI).

Il principe ideale: quali qualità deve possedere il Principe di Machiavelli?

Il principe secondo Niccolò Machiavelli deve possedere delle qualità (le virtù del principe): deve essere astuto per sottrarsi agli inganni; forte per sconfiggere i nemici dello Stato; sleale, perché gli uomini sono cattivi per natura e, qualora il principe fosse leale con loro, verrebbe senz’altro ricambiato con la slealtà; ipocrita (qualora fosse necessario), perché per raggiungere i suoi obiettivi il principe deve apparire una persona leale, in cui sia possibile avere fiducia e (precisa Machiavelli) non sarà difficile ingannare gli uomini, perché essi sono stolti e miopi, capaci cioè di vedere soltanto l’interesse immediato, senza valutare le conseguenze future.

L’esortazione finale ai Medici (capitolo XXVI)

Il capitolo XXVI, l’ultimo, è certamente il più famoso dell’intera opera; contiene l’esortazione finale rivolta al casato dei Medici, che, in quanto famiglia illustre, favorita da Dio e dalla Chiesa, sono gli unici a poter liberare l’Italia «sanza capo, sanza ordine, battuta, spogliata, lacera, corsa… » ed invoca un «redentore», per concludere con i celebri versi (vv. 93-96) della canzone Italia mia di Francesco Petrarca:

Virtù contro a furore
prenderà l’arme; e fia el combatter corto;
ché l’antico valor
nell’ italici cor non è ancor morto.

«La virtù [degli italiani] prenderà le armi contro il furore [degli stranieri]; e il combattimento sarà breve, perché l’antico valore nei cuori italiani non è ancora morto».

Lo stile

Lo stile de Il Principe costituisce una novità nella prosa del Cinquecento, per il contenuto espresso in un linguaggio sobrio e incisivo, con osservazioni lucide e precise e talvolta ironiche.

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