Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto. È così che inizia la prima lettera del romanzo epistolare di Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis.
La lettera è indirizzata a Lorenzo Alderani, l’amico fittizio del protagonista, Jacopo Ortis; Alderani pubblicherà l’epistolario, dopo il suicidio di Ortis nella notte del 25 marzo 1799.
È datata 11 ottobre 1797, pochi giorni prima della firma del Trattato di Campoformio (17 ottobre 1797) con cui Napoleone Bonaparte cede la Repubblica di Venezia all’Austria in cambio della Lombardia.
L’incipit fa riferimento al sacrificio della patria ormai “consumato”, in cui “tutto è perduto”. Jacopo Ortis fa così intendere di aver perso ogni speranza per la patria e per se stesso. L’espressione “tutto è compiuto”, tragica e definitiva, riprende quella del Vangelo di Giovanni (19, 30: «tutto è compiuto») pronunciate da Cristo sulla croce, subito prima di morire.
Quando Jacopo scrive la lettera è sui Colli Euganei, vicino a Padova. È qui che si è rifugiato per esaudire la preghiera della madre (che affida all’amico Lorenzo) per sottrarsi alle persecuzione contro i patrioti veneziani.
Jacopo prevede la perdita della libertà di Venezia, per la quale ha combattuto. Napoleone l’ha infatti sacrificata sull’altare delle convenienze politiche, come puntualmente avverrà pochi giorni dopo, in seguito al Trattato di Campoformio.
Comunica quindi all’amico Lorenzo che ormai non si fa più illusioni; ha perduto ogni speranza e deciso che lì aspetterà «tranquillamente la prigione e la morte». Preferisce morire in patria piuttosto che andare in esilio, così il suo «cadavere almeno non cadrà fra braccia straniere» e la sua vita sarà prolungata nel ricordo dei buoni e dei giusti.
La sepoltura in patria, che conforta colui che sta per morire, con l’idea che i suoi resti saranno visitati dai propri cari, verrà ripresa successivamente da Ugo Foscolo nei sonetti A Zacinto e In morte del fratello Giovanni e anche nel carme Dei sepolcri.