Ascolta “Dante Alighieri – La Divina Commedia – Canto 10 Inferno” su Spreaker.
Cosa succede nel Canto 10 Inferno di Dante? Dove si svolge? Dante chi vi incontra? Che cosa profetizza Farinata a Dante? Leggi il nostro canto 10 Inferno riassunto e spiegazione e troverai le risposte alle domande.
Argomenti del Canto 10 dell’Inferno di Dante
- I sepolcri degli epicurei (vv. 1-21)
- Farinata degli Uberti (vv. 22-51)
- Cavalcante Cavalcanti (vv. 52-72)
- Profezia di Farinata (vv. 73-93)
- Limiti della prescienza dei dannati (vv. 94-120)
- Smarrimento di Dante (vv. 121-136)
Canto 10 Inferno: I sepolcri degli epicurei (vv. 1-21)
Virgilio e Dante sono ora nel sesto cerchio dell’Inferno, il cerchio degli eretici, cioè coloro che sostengono opinioni contrarie alla dottrina ufficiale della Chiesa. Dante punta la sua attenzione sugli epicurei, vale a dire coloro che negavano l’immortalità dell’anima (tale eresia era assai diffusa e attribuita specialmente ai ghibellini, e aveva avuto largo seguito anche a Firenze).
Dante s’arresta sbigottito: davanti a lui una grande distesa di tombe di pietra infuocate, tutte aperte, dalle quali escono gemiti e lamenti, e nessun diavolo a fare la guardia (il fuoco richiama il rogo con cui venivano condannati gli eretici nel Medioevo).
Virgilio spiega a Dante che in quel luogo sono sepolti tutti i seguaci di Epicuro, che non hanno creduto nell’immortalità dell’anima. Le loro tombe saranno rinchiuse per sempre quando gli spiriti ritorneranno dalla valle di Iosafàt (presso Gerusalemme) nel giorno del Giudizio Universale assieme ai loro corpi.
Virgilio aggiunge che presto il desiderio di Dante verrà soddisfatto (Virgilio si riferisce al desiderio del poeta di incontrare il nobile fiorentino Farinata degli Uberti, della cui sorte ha già saputo da Ciacco nel canto 6 dell’Inferno).
Canto X Inferno: l’incontro con Farinata degli Uberti (vv. 22-51)
Dante e Virgilio stanno camminando fra i sepolcri infuocati, in cui quei dannati sono imprigionati, quando li sorprende una voce. Dante, intimorito, si accosta a Virgilio, che invece lo incoraggia a volgersi e a guardare il peccatore che egli desiderava vedere.
È Farinata degli Uberti, fu capo ghibellino di Firenze. Ha sentito l’accento toscano di Dante e gli chiede di fermarsi, per poter parlare di Firenze con un concittadino. Il suo atteggiamento è fiero, sdegnoso: egli non si cura delle sofferenze infernali, perché l’unico assillo è la sorte della sua parte e della sua città.
Eretto nel buio dalla cintola in sù, con distaccata alterigia interroga Dante, perché dica chi siano stati i suoi antenati. Dante risponde che furono Guelfi e quindi suoi nemici. Farinata ribatte che, in quanto Ghibellino, per ben due volte sbaragliò e disperse la parte guelfa a cui aderivano anche gli Alighieri; al che Dante, punto sul viso, replica «Sì, ma due volte vi tornarono, mentre ancora oggi, Farinata, i vostri non possono entrare in città». Qui Dante ricorre all’ironia per concludere il discorso a suo favore: i vinti sono stati i ghibellini, incapaci di riprendersi dopo l’ultima cacciata; più ancora gli Uberti che, anche dopo la pace del 1280, rimasero esclusi dalla patria, mentre le altre famiglie poterono rientrare.
Canto X Inferno: Cavalcante (vv. 52-72)
Nello scontro verbale tra Farinata e Dante, s’intromette un altro dannato, anch’esso collocato nella medesima tomba. Emerge solo con la testa, e ha riconosciuto Dante. Si tratta di Cavalcante Cavalcanti, padre di Guido Cavalcanti, uno dei più autorevoli rappresentanti della Scuola del Dolce Stil Novo e amico di Dante stesso.
Afflitto e debole, Cavalcante cerca inutilmente con lo sguardo il figlio Guido, degno, secondo lui, di compiere per altezza d’ingegno quello stesso prodigioso viaggio e piangendo chiede il motivo di tale assenza. Dante spiega di essere stato scelto non per i meriti poetici ma per la Grazia divina che Guido invece ha sdegnato; viene però frainteso da Cavalcante, che deduce dalle parole di Dante la morte del figlio e, senza attendere replica, si accascia nuovamente nella tomba in un dolore disperato per non tornare fuori mai più.
In realtà Guido morì il 29 agosto 1300: quindi era ancora vivo nel momento in cui Dante pone il suo viaggio ultraterreno, nella settimana santa dello stesso anno. Cavalcante è vittima di un equivoco.
Inferno Canto 10: Profezia di Farinata (vv. 73-93)
Farinata, che nel frattempo è rimasto immobile perché tutto intento a riflettere su ciò che gli aveva detto Dante e altrettanto insensibile al dramma umano di Cavalcante, riprende il discorso di prima, che era stato interrotto dall’apparizione di questi.
E mentre confessa che quella sorte d’inesorabile vendetta toccata ai suoi discendenti lo tormenta più della stessa pena infernale, profetizza l’esilio di Dante (che iniziò nel 1302). Chiede poi a Dante perché a Firenze si prendano tante risoluzioni contro i suoi discendenti. Dante risponde che il motivo è legato al ricordo della strage della battaglia di Montaperti (1260), in cui tanto sangue fu sparso da arrossare le acque del fiume Arbia. Farinata, sospirando e scuotendo il capo, come in segno di desolazione e di doloroso rifiuto di una così singolare responsabilità, ricorda che egli non fu solo alla strage di Montaperti e vi fu tratto dalla feroce logica delle parti, mentre ricorda che egli solo difese a viso aperto Firenze quando tutti avrebbe voluto raderla.
Inferno Canto 10: Limiti della prescienza dei dannati (vv. 94-120)
Dante chiede a Farinata se è vero, come ha dimostrato il caso di Cavalcante, che i dannati possono conoscere il futuro, ma ignorano il presente: Farinata conferma l’impressione del poeta; i dannati, poiché in vita pensarono solo al presente e mai all’aldilà, ora possono vedere il futuro, ma non il presente o il passato.
Dante, allora, dispiaciuto di aver fatto credere a Cavalcante che suo figlio Guido sia morto, gli chiede di informare il padre dell’amico sulla verità. Intanto Virgilio lo richiama perché chieda a Farinata quali altri dannati sono puniti con lui. Farinata gli risponde che in quel cerchio si trova con più di mille dannati, ma cita solamente Federico II di Svevia (molto ammirato da Dante ma che aveva fama di epicureo) e il cardinale Ottaviano degli Ubaldini (discendente da un’illustre famiglia ghibellina, fu vescovo di Bologna dal 1240 al 1244, poi cardinale dal 1245; morì nel 1273. Fu zio del più famoso arcivescovo Ruggeri, che Dante includerà fra i traditori del nono cerchio, nel canto XXXIII Inferno).
Inferno Canto 10: Smarrimento di Dante (vv. 121-136)
Dante riprende il cammino turbato dalla profezia di Farinata; Virgilio lo esorta a ricordarla, perché in Paradiso potrà ottenere chiarimenti. I due poeti lasciano così le mura di Dite, per avviarsi verso il cerchio successivo.