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Il canto 33 Inferno di Dante si svolge nella seconda e terza zona del nono cerchio, l’ultimo dell’Inferno. Il nono cerchio è costituito da un immenso lago ghiacciato, il Cocito, dove vengono puniti i traditori.
La seconda zona del nono cerchio è l’Antenora. Troviamo qui i traditori della patria e del proprio partito; stanno confitti nel ghiaccio verticalmente e ne emergono soltanto con il capo. Sono qui puniti nel canto 33 Inferno: Ugolino della Gherardesca e Ruggieri degli Ubaldini.
La terza zona del nono cerchio è la Tolomea. Qui stanno i traditori degli ospiti, immersi nel ghiaccio con il capo riverso, in modo che si congelino le lacrime negli occhi, impedendo l’uscita delle altre lacrime, che, non trovando sbocco, si riversano all’interno e aggravano il dolore. Sono qui puniti nel canto 33 Inferno: Frate Alberigo e Branca Doria.
Argomenti del Canto 33 Inferno
- Il racconto del conte Ugolino della Gherardesca (vv. 1-78)
- Invettiva contro Pisa (vv. 79-90)
- La Tolomea: i traditori degli ospiti (vv. 91-108)
- L’incontro con Frate Alberigo e Branca Doria (vv. 109-150)
- Invettiva contro Genova (vv. 151-157)
Canto 33 Inferno riassunto
Il racconto del conte Ugolino della Gherardesca (vv. 1-78)
Il canto 33 Inferno si presenta come la continuazione del canto precedente, al termine del quale Dante e Virgilio avevano intravisto un’anima immersa nel Cocito intenta a rodere la testa di un altro dannato.
La scena alla quale Dante si trova ad assistere è orribile e raccapricciante: un dannato sta addentando furiosamente il cranio di un altro. Dante chiede allo spirito chi sia e perché odii a tal punto il suo compagno di pena. Il dannato solleva la bocca dal feroce pasto, se la pulisce con i capelli del cranio che sta mordendo e risponde. Dichiara a Dante che la sua richiesta di spiegargli le ragioni di tanto odio rinnova in lui al solo pensiero un disperato dolore, già prima di parlarne; tuttavia, se le sue parole dovranno infamare il nome dell’altro traditore, egli parlerà e piangerà al tempo stesso.
Quindi, dopo aver osservato che Dante è fiorentino dall’accento, si presenta come il conte Ugolino della Gherardesca, e si sta accanendo contro l’arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini, pisano come lui.
Ugolino non si sofferma sulle vicende del tradimento da parte di Ruggieri; queste le sappiamo dalle fonti del tempo. Si tratta infatti di due personaggi realmente esistiti al tempo di Dante. La loro storia era conosciuta all’epoca. Il conte di origine ghibellina era alleato con i guelfi per interessi economici e di difesa dei suoi territori. Suo avversario era l’arcivescovo Ruggieri, intorno al quale si erano radunati gli altri nemici di Ugolino.
In seguito a una rivolta popolare nel 1288, il conte viene catturato e chiuso nella Torre della Muda assieme ai suoi figli. Secondo la versione di Dante, l’arcivescovo aveva tradito Ugolino, attirandolo con la promessa di un accordo e facendolo invece imprigionare.
Ugolino non si sofferma sulle vicende del tradimento da parte di Ruggieri, perché – ribadisce – La fama del fatto è tale che a un fiorentino non occorre ricordare ciò che è noto, ma assolutamente ignota a tutti è invece la tragedia che si è consumata nella chiusa torre della Muda. Perciò il conte Ugolino dice che racconterà quello che nessuno ha mai sentito dire, ossia quanto la sua morte sia stata efferata e il poeta potrà valutare se il suo odio è giustificato.
Il sogno premonitore di Ugolino della Gherardesca e la prigionia
Ugolino e i suoi figli erano già imprigionati da diversi mesi nella torre della Muda a Pisa, che poi sarebbe stata chiamata Torre della Fame, quando una notte egli fece un sogno premonitore, che prefigurava la sua condanna a morte e quella dei ragazzi.
In questo sogno, delle cagne fameliche (simbolo dei suoi nemici politici a Pisa), al seguito di un gruppo di bracconieri guidati da Ruggeri, sbranavano e poi dilaniavano un lupo e i suoi lupacchiotti (metaforicamente lui e i suoi figli).
Più che il dolore poté il digiuno
Svegliatosi all’improvviso aveva sentito i figli piangere e chiedere cibo nel sonno. Di lì a poco le porte della torre vennero inchiodate. I figli invocarono l’aiuto del padre, ma egli non rispose alle loro domande e richieste per un giorno intero e una notte.
Alle prime luci del nuovo giorno, riconobbe nei loro volti emaciati la sua stessa sofferenza dettata dalla fame e in un momento di furore si morse le mani. I figli equivocarono quel gesto e si offrirono in sacrificio al padre. Allora Ugolino si calmò per non renderli ancora più tristi e nei giorni successivi si trovò costretto ad assistere alla morte di ciascuno di loro. Lui fu l’ultimo a morire (più che il dolore poté il digiuno).
La narrazione del sogno e la successiva morte dei figli sottolinea la doppia colpa di Ugolino: quella politica, per aver tradito la fiducia della sua città, e quella personale, per non essere riuscito a proteggere i suoi figli.
Terminato il racconto, il conte Ugolino riprende a mordere il cranio di Ruggieri, suo traditore.
Inferno Canto 33: Invettiva contro Pisa (vv. 79-90)
Dante, sdegnato per l’atrocità della storia udita, maledice Pisa e invoca la sua distruzione: la città, infatti, è colpevole perché non ha risparmiato quattro giovani innocenti. Non è giusto che la colpa dei padri ricada sui figli innocenti.
Inferno Canto 33: La Tolomea – i traditori degli ospiti (vv. 91-108)
Dante e Virgilio riprendono il cammino e giungono nella terza zona del Cocito, la Tolomea, in cui sono puniti i traditori degli ospiti (il nome deriva da Tolomeo, personaggio biblico, che fece uccidere il suocero con i figli dopo averli invitati a un banchetto). Questi dannati sono imprigionati nel ghiaccio, nel quale stanno distesi con il volto all’insù, esposto a un vento impetuoso e freddissimo che fa gelare le loro lacrime, in una dolorosa crosta sugli occhi.
Il viso di Dante è privo di sensibilità a causa del freddo, eppure egli sente spirare del vento. Il poeta è meravigliato: come può esserci vento nel fondo dell’Inferno dove non c’è il sole, che, seconda la scienza medievale, riscalda la terra generando vapori e muovendo l’aria? Virgilio gli risponde che presto sarà nel punto dove avrà la risposta, vedendo coi propri occhi la causa che fa scendere il vento.
Inferno Canto 33: Frate Alberigo, Branca Doria (vv. 109-150)
Fra i dannati immersi nel ghiaccio, Dante si stupisce di vedere frate Alberigo, uno dei capi guelfi di Faenza, che aveva fatto assassinare alcuni parenti.
Frate Alberigo chiede ai due poeti di liberarlo dal ghiaccio incrostato sui suoi occhi, in modo da poter piangere. Dante, fingendo, gli giura di liberarlo dal ghiaccio, a costo di dover finire nell’ultimo tratto dell’Inferno, ma prima deve sapere chi è. Risponde di essere frate Alberigo: per rivalità politica, alla fine di un pranzo, fece assassinare due parenti, dopo aver finto di far la pace con loro.
Dante si stupisce di vederlo, perché gli risulta che egli sia ancora in vita. Il frate gli spiega che quella parte dell’Inferno accoglie le anime di chi, a causa della gravità dei loro peccati, precipitano all’Inferno mentre il corpo continua a restare in Terra, posseduto da un demone, fino alla fine degli anni previsti di vita.
Questa è la sorte anche del genovese ghibellino Branca Doria, imprigionato nel Cocito già da molti anni. Per impossessarsi della regione del Logudoro, in Sardegna, fece uccidere il suocero dopo averlo invitato a banchetto.
Dante è perplesso perché sa per certo che Branca Doria è ancora vivo nel mondo. Ma frate Alberigo ribatte che Michele Zanche, suocero di Branca Doria, da quest’ultimo assassinato, non era ancora giunto nella bolgia dei barattieri, che Branca Doria aveva già lasciato il demone nel proprio corpo e la sua anima era precipitata nel Cocito assieme a un parente, che l’aiutò nel suo tradimento.
Il frate invita Dante a mantenere la promessa e ad aprirgli gli occhi, ma egli se ne va via disgustato senza più badare a lui: la colpa del tradimento, che i dannati hanno rivolto a coloro che si fidavano, elimina ogni tratto umano.
Inferno Canto 33: Invettiva contro Genova (vv. 151-157)
Dante, infine, pronuncia una dura invettiva contro i Genovesi, uomini estranei alle buone usanze e pieni di ogni vizio. Dovrebbero essere scacciati dal mondo, poiché ha trovato nel Cocito uno di loro (Branca Doria) con il peggiore spirito della Romagna (frate Alberigo) mentre il suo corpo è ancora in vita sulla Terra.