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Battaglia di Adua – 1896, riassunto dettagliato

La Battaglia di Adua si svolse il 1° marzo 1896. Fu la battaglia decisiva nella guerra tra Italia ed Etiopia del 1895-96. Rappresenta una delle più pesanti sconfitte della storia dell’Esercito italiano e mise fine alla prima fase (1881-96) del colonialismo italiano.

Battaglia di Adua – Le premesse: il trattato di Uccialli

Durante il governo Crispi, il 2 maggio 1889 fu firmato il trattato di Uccialli, tra il governo italiano e il negus etiope Menelik II.

L’accordo fu redatto in aramaico e in italiano, in due versioni non coincidenti. Riconosceva all’Italia i possessi sul Mar Rosso e nell’immediato retroterra, che avrebbero dato corpo alla Colonia Eritrea a partire dal gennaio 1890. La versione italiana del trattato era però più ampia e articolata e includeva l’accettazione da parte di Menelik di un protettorato italiano sui suoi domini.

Menelik voleva invece preservare l’indipendenza dell’Etiopia, trattare da pari con gli europei e rifiutava le ipotesi di protettorato avanzate dall’interpretazione italiana del trattato di Uccialli.

L’occupazione del Tigré

Francesco Crispi, tornato al governo nel dicembre 1893, cominciò a sollecitare il colonnello Oreste Baratieri, governatore della Colonia d’Eritrea, ad allargare i possedimenti italiani verso il Tigré, la zona etiopica al confine con l’Eritrea.

Baratieri iniziò a organizzare alcune spedizioni, provocando la reazione dei ras (i governatori delle province dell’Impero). Dopo una ribellione anti-italiana fomentata da Mangascià, il ras del Tigré, nel dicembre 1894 Baratieri reagì portando le truppe italiane ad Adua, considerata “città santa” perché un’antica legge vietava che vi eseguissero sentenze capitali e perché vicina ad Axum, dove si pensava fosse conservata la biblica Arca dell’Alleanza.

In risposta, Mangascià iniziò l’invasione dell’Eritrea. Le truppe italiane lo respinsero e invasero il Tigré. Alla fine di marzo 1895, annettendo alla Colonia d’Eritrea i territori che conquistavano, arrivarono ad Aigrat e Macallé e occuparono Adua, che rimase in mani italiane per i successivi otto mesi.

La guerra fra Italia e Etiopia

Il negus Menelik II non poteva accettare la perdita del Tigré. Dopo aver riorganizzato e armato un esercito numeroso e profondamente motivato, il 17 settembre 1895 lanciò un appello per la mobilitazione generale, a cui risposero fra gli 80 mila e i 120 mila uomini, che si posero agli ordini di valenti comandanti.

Menelik rivolse quindi le sue truppe contro gli italiani per respingerli in Eritrea. In breve tempo, le truppe italiane riportarono delle dure sconfitte e conservarono il solo avamposto di Adigrat. Alle loro spalle, intanto si svilupparono numerose ribellioni, a cui gli italiani risposero con incendi ed esecuzioni sommarie.

Battaglia di Adua

In febbraio, l’esercito etiopico si stabilì ad Adua, non lontana dall’accampamento italiano. Il 29 febbraio 1896, Baratieri, spinto sia dai suoi generali sia da Crispi, decise di attuare una «dimostrazione offensiva» e di muovere quattro brigate – circa 20 mila uomini, compresi i combattenti eritrei reclutati nelle truppe coloniali italiane (ascari) – verso l’accampamento degli etiopici, di cui sottovalutava la forza militare. I quattro comandanti di brigata erano: Albertone, Arimondi, Dabormida ed Ellena.

Le truppe italiane incontrarono subito delle difficoltà. A causa della mancanza di coordinamento e degli errori nelle mappe di cui erano dotate, persero i contatti tra di loro. La brigata di Albertone la mattina del 1° marzo 1896 fu sconfitta in poche ore e il generale fu fatto prigioniero.

Poco dopo, anche la brigata di Dabormida sbagliò posizione e fu sopraffatta dagli abissini: lo stesso generale morì nei combattimenti. L’identica sorte toccò ad Arimondi, sul terzo fronte della battaglia. Ovunque le truppe di Menelik, in schiacciante superiorità numerica, affrontarono e sconfissero le brigate italiane.

La ritirata italiana fu disastrosa. La stanchezza dei soldati, l’asprezza del terreno, i continui attacchi nemici la trasformarono in una vera e propria disfatta. Le truppe italiane persero cannoni e fucili e furono fatti prigionieri quasi 2000 italiani e 800 ascari. Questi ultimi furono puniti per aver combattuto contro il negus con l’amputazione della mano destra e del piede sinistro.

Menelik, vittorioso, decise di porre fine alle ostilità, lasciando agli italiani i territori a nord del Mareb.

La notizia della sconfitta giunse in Italia e in molte città la popolazione manifestò contro la guerra e il governo Crispi. Crispi fu costretto a dimettersi, mentre Baratieri, abbandonato dalla classe dirigente, fu processato dal tribunale militare ed estromesso dall’Esercito.

Il trattato di Addis Abeba

Il trattato di pace fu firmato ad Addis Abeba il 26 ottobre 1896. L’Italia pagò un’indennità per la liberazione dei prigionieri e riconobbe la piena indipendenza etiopica.
Dopo un anno i prigionieri italiani tornarono in patria.

Le conseguenze della sconfitta

La sconfitta subita nella battaglia di Adua diminuì il prestigio internazionale dell’Italia. Ancora a metà degli anni ’30, il regime fascista, per giustificare la nuova impresa coloniale, si appellò all’imperativo di «vendicare Adua». La conquista italiana dell’Etiopia iniziò simbolicamente proprio con un bombardameto sulla città di Adua, che pure non costituiva un obiettivo militare.

Dal punto di vista africano, Adua fu interpretata come l’inizio della riscossa dei colonizzati e fu poi presa ad esempio dai movimenti per la decolonizzazione durante il Novecento.

Nota: durante la Seconda guerra mondiale, Adua fu conquistata dalle truppe britanniche nell’aprile 1941 e restituita alla sovranità del negus.

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