La Carboneria è stata la più importante e diffusa tra le società segrete italiane ed europee. Nacque per contrastare il ritorno dell’assolutismo voluto dalla Restaurazione.
Le origini della Carboneria
Le origini della Carboneria vanno cercate fuori dall’Italia e precisamente in Francia.
Infatti, l’ipotesi più attendibile è che essa derivi dagli Charbonniers (società dei buoni cugini) della Francia Contea, lo strumento operativo e reazionario della setta dei Filadelfi. Dopo il 1806, alcuni filadelfi, recatisi nel regno di Napoli come ufficiali o funzionari al servizio di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat, vi avrebbero introdotto la Carboneria, per avere un organizzazione subordinata di facile diffusione tra le masse. Essa si diffuse rapidamente nel resto dell’Italia, in Francia e in Spagna.
I Carbonari riprendevano i loro simboli e i loro rituali dal lavoro dei carbonari, come i Massoni da quello dei muratori.
L’organizzazione interna della Carboneria
I membri della Carboneria si chiamavano buoni cugini ed erano organizzati in sezioni, chiamate vendite. Queste erano raggruppate territorialmente sotto la direzione di vendite madri, dipendenti a loro volta da alte vendite.
I gradi di iniziazione furono inizialmente due, apprendista e maestro, cui si aggiunse dopo qualche anno, quello di gran maestro.
L’ammissione ai vari gradi e la vita interna erano regolate da rituali complicati e carichi di simboli (giuramenti, parole di passo, segni convenzionali, ecc.). I principi dottrinali, rituali e organizzativi erano contenuti nei catechismi, diversi per i vari gradi.
Nel primo grado si professavano genericamente alcuni principi umanitari, impostati sulla morale e sulla religione tradizionale. Il secondo trattava di costituzione, d’indipendenza e di libertà. Nel terzo si proclamava l’aspirazione a creare una repubblica e un regime di eguaglianza sociale, che comportasse la divisione delle terre e la promulgazione della legge agraria.
La Carboneria italiana e i moti carbonari del 1820-1821
Negli anni immediatamente successivi al 1815 la Carboneria si diffuse progressivamente nell’Italia settentrionale, stabilendo contatti con le socieà segrete qui preesistenti (adelfi, federati, sublimi maestri perfetti), che dipendevano in parte da Filippo Buonarroti.
La Carboneria italiana acquistò una particolare consistenza nelle Marche e in Romagna, dove diffuse alcuni giornali clandestini (Quadragesimale italiano, Illuminatore) e preparò nel 1817 un tentativo insurrezionale a Macerata.
Raggiunse il suo massimo sviluppo nel 1820, quando diede la spinta decisiva alla rivoluzione napoletana del luglio, senza riuscire peraltro a conservare la direzione del movimento, che passò fin dai primi giorni agli uomini di Gioacchino Murat.
Alla fine del 1820 l’arresto di Piero Maroncelli e di Silvio Pellico mise poi la polizia austriaca sulle tracce dell’organizzazione carbonara in Lombardia.
Entrata in crisi dopo il fallimento delle rivoluzioni del 1820-1821 e le repressioni che ne seguirono, la Carboneria italiana ebbe una breve fase di ripresa quando Giuseppe Mazzini cercò di infonderle uno spirito più moderno e si adoperò per la sua diffusione in Lombardia e in Toscana. Ma l’arresto di Mazzini (novembre 1830) e la successiva creazione della Giovine Italia (1831) scompaginarono nuovamente le file dell’associazione.
Perché la Carboneria fallì
La Carboneria non diede nessun risultato pratico sia a causa della ristretta base sociale (i membri erano soprattutto ufficiali, aristocratici, intellettuali, membri della borghesia illuminata e liberale) sia a causa dell’incertezza dei suoi programmi affidati più all’impegno e all’entusiasmo degli aderenti (scarsamente preparati a livello ideologico, politico e, soprattutto, militare) che a precisi orientamenti politici.