La Carta francese del 1814: caratteri e limiti
Il 4 giugno 1814 il re Luigi XVIII promulgò una Costituzione (ma si preferì chiamarla col nome generico di «Carta») che proclamava l’uguaglianza di tutti i Francesi davanti alla legge, garantiva – pur con qualche limitazione – le libertà fondamentali (di opinione, di stampa, di culto) e prevedeva un Parlamento bicamerale, composto da una Camera dei pari di nomina regia e da una Camera dei deputati elettiva.
La Carta francese del 1814 era presentata come una graziosa concessione del re Luigi XVIII ai suoi sudditi: si parlò infatti di Carta ottriata, ossia elargita.
Il contenuto liberale della Carta francese del 1814 era ulteriormente limitato sia dagli scarsi poteri di cui godeva la Camera dei deputati, sia dal carattere restrittivo della legge elettorale, che legava il diritto di voto all’età (30 anni) e al censo (ossia al livello di reddito, calcolato in base alle tasse pagate): in particolare godevano di tale diritto non più di 100 000 cittadini.
Nonostante ciò, la Francia «restaurata» dopo il Congresso di Vienna era pur sempre uno dei pochi regimi costituzionali esistenti in Europa. Vi furono inoltre mantenute molte delle più importanti innovazioni dell’età napoleonica – dal Codice civile all’ordinamento amministrativo, al sistema scolastico statale – e soprattutto fu garantita l’inviolabilità di tutte le proprietà vecchie e nuove, comprese quelle derivate dall’acquisto di terre confiscate alla nobiltà e al clero.
La moderazione del re scontentava naturalmente i legittimisti più intransigenti, soprattutto quelli che rientrati in patria si aspettavano di rientrare pienamente in possesso dei loro beni e di riprendere gli antichi usi feudali: in generale tutti coloro che sognavano il ritorno puro e semplice all’Ancien Régime e che furono definiti ultrarealisti o ultras. Costoro appoggiarono il fratello del re, Carlo, che, alla morte di Luigi XVIII nel 1824, salì al potere col nome di Carlo X, protagonista della Rivoluzione di Luglio.