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La grande Proletaria si è mossa, Pascoli Giovanni

La grande Proletaria si è mossa è l’ultimo discorso pubblico pronunciato dal poeta Giovanni Pascoli il 26 novembre 1911 (pochi mesi prima di morire) nel Teatro dei Differenti di Barga (un piccolo centro in provincia di Lucca), per celebrare la guerra in Libia (in corso da due mesi), che doveva arginare la piaga dell’emigrazione. Il discorso venne pubblicato il giorno successivo sul giornale La Tribuna.

Perché l’Italia è definita la grande Proletaria?

“La grande Proletaria” è l’Italia. Pascoli definisce l’Italia la grande Proletaria, perché essa è la più povera delle nazioni europee, da sempre sfruttata dagli altri potenti Stati, quella in cui la componente proletaria, specialmente contadina, costituiva gran parte della popolazione costretta a emigrare.

Cosa significa La grande Proletaria si è mossa?

Con l’espressione si è mossa Pascoli intende celebrare l’impegno coloniale dell’Italia in Libia: il poeta giustifica e legittima l’impresa coloniale italiana in Libia come unica soluzione possibile al dramma dell’emigrazione italiana (fortissima in quegli anni). Per trovare un lavoro che desse loro da mangiare, gli italiani erano infatti costretti a emigrare in altri Paesi dove spesso erano vittime di pregiudizi e discriminazioni. La guerra in Libia diventa quindi uno strumento per ampliare i territori dell’Italia in modo da dare lavoro a quanti non l’avessero.

Oltre a ciò, colonizzando l’Africa, l’Italia non farebbe che portare a termine la missione dell’Impero di Roma. L’Italia deve poi riscattarsi dalle umiliazioni che subisce da più di un secolo, nonostante le glorie risorgimentali, mai abbastanza ricordate e riconosciute.

In che modo Pascoli concilia l’adesione alla guerra con le sue posizioni socialiste?

L’emigrazione secondo Pascoli è un male storico di cui l’Italia deve ad ogni costo liberarsi. L’Italia, patria troppo piccola e povera per ospitare e nutrire tutti i suoi figli, fa bene a cercare di espandersi su un’altra sponda del mar Mediterraneo per ampliare il suo territorio, al fine di provvedere come una madre premurosa (materno ufficio) a tutti i suoi figli volenterosi. Quella che è un’impresa di colonizzazione appare agli occhi del poeta un’azione dettata da amore materno. La superiorità della nostra cultura rispetto a quella dei colonizzati giustificherebbe inoltre l’invasione anche come atto di civiltà.

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