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La letteratura nel ventennio fascista

La letteratura nel ventennio fascista, riassunto di italiano.

In Italia, nonostante l’esplosione del Futurismo prima e il desiderio ambizioso e inconcludente del regime poi, non si può dire che sia esistita una letteratura fascista, o meglio quella che è esistita non conta né per i risultati raggiunti né per le influenze – non – lasciate.

Certo l’atteggiamento dei letterati non fu di opposizione, ma piuttosto di ritegnoso isolamento e “disimpegno” (per un approfondimento leggi Il rapporto tra intellettuali e fascismo).

A parte l’esperienza poetica dell’Ermetismo (volutamente atemporale e astorica, volta a ricercare la parola “pura”) e l’esperienza di altri scrittori isolati come, tra gli altri, Ignazio Silone e Alberto Moravia, la letteratura nel ventennio fascista si raccoglie e si esprime essenzialmente attraverso due riviste:

  1. La Ronda, nata nel primo dopoguerra (1916-1923), che predica il ritorno a un’arte classica, di perfezione tecnica, in contrapposizione al cattivo gusto futurista, riproponendo i grandi modelli di Manzoni e Leopardi.
  2. Solaria (1926-1936), che, raccogliendo l’eredità di La Ronda, insieme con parte dei suoi redattori più impegnati, va oltre il classicismo di quella per cogliere l’eco delle grandi lezioni della letteratura europea, svolgendo una funzione sprovincializzante (e anche di maturazione di coscienza) all’interno della lettteratura italiana e incontrando per questo guai con la censura fascista fino al suo scioglimento coatto.

Giganteggia nel quadro della letteratura nel ventennio fascista la figura di Luigi Pirandello, scrittore e autore di teatro di statura europea, che maturò la sua concezione del mondo nell’età del Decadentismo.

Altri intellettuali – poeti e prosatori – che avrebbero raggiunto la fama nei decenni successivi, pubblicarono le loro opere più significative in quegli anni, e in qualche modo, garantirono la continuità del discorso culturale: oltre a Ignazio Silone e Alberto Moravia e al gruppo dei poeti ermetici, Elio Vittorini, Corrado Alvaro e Dino Buzzati.

Accanto alla letteratura “colta” c’è da segnalare, infine, intorno agli anni Trenta, l’affermazione di un fenomeno tipico della cultura del Novecento, ma già presente nell’Ottocento – soprattutto in Francia, nel romanzo d’appendice (feuilleton) -, quello della cosiddetta letteratura “popolare”, di una produzione destinata cioè a gente non necessariamente colta, costituita dai ceti medi e mediobassi.

All’interno della letteratura popolare spicca il filone del cosiddetto “romanzo rosa”, d’intonazione romantico-sentimentale e di ambientazione spesso dannunziano, con diffuse concessioni al cattivo gusto (kitsch). Questo, destinato per lo più a un pubblico femminile, e già assai popolare in tutta Europa (Delly), trovò in Italia l’autrice più fortunata e capace in Liala (Liana Cambiasi Negretti).

Nel 1929 compare in Italia anche il primo romanzo “giallo”, cosiddetto dal colore della copertina, di una famosa collezione di carattere poliziesco iniziata proprio in quell’anno dall’editore Mondadori e che affonda le sue radici in illustri scrittori come Edgar Allan Poe.

Nell’articolo precedente Tra le due guerre: storia e politica

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