La maga Circe è figlia del dio Elios (il Sole) e della ninfa Perseide, figlia di Oceano.
Circe discende direttamente dalla stirpe dei Titani ed è quindi una divinità indipendente dalla generazione degli dèi olimpici che ha origine da Zeus e dai suoi fratelli.
La considerazione vale anche se si accetta la versione più moderna del mito, secondo la quale la maga Circe è figlia di Ecate, dea benefica che presiede alla magia e legata al mondo delle Ombre.
La maga Circe descrizione
Secondo Omero, la casa di Circe sull’isola Eea (identificabile con l’attuale Promontorio del Circeo) è uno splendido palazzo che si erge in mezzo a un bosco. Intorno alla sua dimora si aggirano lupi e leoni, che con la loro presenza terrorizzano chi si avventura nella profonda vallata; dentro il palazzo la maga tesse e canta, ammaliando con la sua voce.
Circe conosce droghe con cui pratica stregonerie e sa operare metamorfosi con l’uso di una bacchetta magica. I compagni di Odisseo infatti grazie alle sue arti sono trasformati in porci, e solo l’erba moly, l’antidoto fornito da Ermes, permette all’eroe di resistere ai suoi sortilegi.
La maga Circe tuttavia non è presentata come una creatura del male. Messa nelle condizioni di non poter più nuocere, diventa infatti molto generosa con l’eroe; lo aiuta nel viaggio nell’Oltretomba; lo istruisce su come affrontare i pericoli della navigazione verso Itaca.
Grazie ai suoi consigli, il rischio delle Sirene è infatti neutralizzato, e il protagonista può per un breve tratto godere del loro dolcissimo canto, senza morirne.
Ulisse e la maga Circe
Il pericolo di Cariddi è superato grazie alla navigazione accorta e tenace e all’astuzia di Ulisse (Odisseo), che non ha rivelato ai compagni l’esistenza di Scilla su consiglio di Circe; ma il mostro a sei teste divora sei compagni dell’eroe, che tenta invano di contrastarlo con le inutili armi, non attenendosi questa volta ai consigli della maga (Odissea Libro XII).
La maga Circe e Scilla
Oltre all’avventura con Odisseo (Circe compare nell’Odissea, Libri X, XI, XII) – dal quale avrebbe avuto un figlio chiamato Telegono, le cui vicende sono narrate in un poema molto più tardo dell’Odissea, la Telegonìa – il mito attribuiva a Circe altre storie.
Il nome della maga è infatti anche legato a quello di Scilla.
Secondo quanto narra il poeta latino Ovidio, Circe si innamorò del dio marino Glauco che si era rivolto a lei desideroso di una pozione per far innamorare la giovane Scilla. La dea allora trasformò la sua rivale nel mostro dalle sei teste di cani latranti che, con Cariddi, uccide uomini e affonda navi.
Tutti questi racconti hanno contribuito sia a creare la figura letteraria della maga, che sarà ereditata dai poemi cavallereschi, sia a delineare nell’immaginario collettivo Circe come prototipo della donna pericolosa, della ammaliatrice che porta l’uomo alla rovina.