La morte di Cicerone il 7 dicembre del 43 a.C. nei pressi di Formia è ampiamente raccontata in Vita di Cicerone di Plutarco.
Marco Tullio Cicerone (106 – 43 a.C.), con suo fratello Quinto e il figlio di questi, si trovava a Tuscolo mentre i triumviri (Marco Antonio, Ottaviano e Lepido) discutevano e preparavano le liste di proscrizione, in base alle quali avrebbero proceduto all’uccisione “legale” di numerosi anticesariani, tra cui lo stesso Cicerone, irriducibile avversario di Marco Antonio.
Quando i tre ne furono informati, decisero di trasferirsi ad Astura, una località di mare tra Anzio e il Circeo. Qui Cicerone possedeva un podere sulla riva del mare; da lì era possibile imbarcarsi per la Macedonia e raggiungere Bruto, il cesaricida che in quella regione si era accampato con un esercito.
Erano già in viaggio per Astura, quando Quinto e suo figlio decisero di tornare indietro; pochi giorni dopo, dei sicari li raggiunsero e li uccisero. Cicerone, invece, riuscì ad arrivare ad Astura e a prendere il mare.
Presso la costa del Circeo, mentre i marinai proponevano di continuare in direzione della Grecia, Cicerone volle sbarcare, forse per timore del mare o perché non aveva deposto del tutto la speranza della lealtà di Ottaviano. A piedi si mosse verso Roma; poi, dopo molte esitazioni, cambiò parere, e discese verso il mare nei pressi di Astura. Qui passò la notte, in gravi e disperati pensieri.
Dopo molti pensieri turbinosi e contraddittori, si fece portare dai servi a Gaeta, per mare. A Gaeta l’oratore aveva dei poderi e una villa per l’estate. Quando vi arrivò, si sdraiò su un letto per riposare. A questo punto Plutarco racconta che alcuni corvi si ammassarono alla finestra; uno di loro si avvicinò al letto e con il becco sollevò un po’ il mantello dal volto di Cicerone. I servi dell’oratore, avviliti per questi cattivi segni del destino, convinsero il loro padrone a fuggire e lo portarono su una lettiga verso il mare.
Nel frattempo giunsero i sicari: il centurione Erennio e il tribuno Popillio, difeso in passato da Cicerone dall’accusa di parricidio; con i due vi erano alcuni soldati.
Un giovanetto di nome Filologo, educato da Cicerone nelle lettere e nelle discipline liberali, liberto di Quinto, fratello di Cicerone, rivelò al tribuno che l’oratore era diretto in lettiga verso il mare, attraverso i sentieri. Allora il tribuno Popillio, dopo aver preso con sé dei soldati, si diresse verso l’uscita del bosco, mentre Erennio avanzava di corsa lungo quei sentieri; Cicerone se ne accorse e ordinò ai servi di deporre la lettiga a terra.
La terribile morte di Cicerone
Cicerone fu colpito al collo dopo che l’ebbe proteso fuori dalla lettiga, aveva sessantaquattro anni. Su ordine di Antonio gli tagliarono la testa e le mani con le quali aveva scritto le Filippiche. Cicerone stesso, infatti aveva intitolato Filippiche le quattordici vibranti orazioni pronunciate contro Antonio, prendendo a modello i discorsi di Demostene contro Filippo II di Macedonia.
Antonio diede l’ordine che la testa e le mani di Cicerone fossero inchiodate sui rostri nel foro romano la tribuna degli oratori così chiamata perché era ornata dai rostri sottratti alle navi nemiche.