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La riforma del melodramma di Pietro Metastasio

Riassunto schematico e dettagliato di letteratura italiana su Pietro Metastasio, le fasi della produzione melodrammatica di Metastasio, la riforma del melodramma di Metastasio.

Pietro Metastasio

Pietro Metastasio è senz’altro l’autore più importante dell’Arcadia. La sua fama è legata soprattutto ai suoi numerosi melodrammi, cioè opere teatrali in cui gli attori, accompagnati dall’orchestra, raccontano cantando una vicenda.

Pietro Metastasio (pseudonimo di Pietro Trapassi, 1698-1782), originario di Roma, entra a far parte dell’Arcadia dopo essersi formato sotto la guida di Gian Vincenzo Gravina, uno dei fondatori dell’Accademia.

Lasciata Roma, Pietro Metastasio si trasferisce a Napoli, dove nel 1724 ottiene il suo primo successo con Didone abbandonata. Dal 1727 al 1730 è di nuovo a Roma. Nel 1730 si reca a Vienna, dove riceve l’incarico di «poeta cesareo», cioè poeta ufficiale della corte imperiale. Terrà quest’incarico per ben cinquantadue anni, sino alla morte avvenuta nel 1782.

La poetica di Pietro Metastasio è fortemente influenzata dalla formazione cartesiana, che lo induce a indagare con razionalità il mondo dei sentimenti. Cartesio infatti sosteneva che i sentimenti sono per l’uomo fonte di irrazionalità, ambiguità e incoerenza, ma per Metastasio la ragione può intervenire per fare chiarezza.
Il mondo dei sentimenti è dunque il tema principale della sua opera. Egli ne mette in luce la complessità attraverso un linguaggio estremamente limpido e lineare.

Le fasi della produzione melodrammatica di Pietro Metastasio

Nella produzione melodrammatica di Metastasio è possibile distingere tre fasi.

La prima fase (1724-1730), napoletana e romana, è caratterizzata da un forte sperimentalismo. Il capolavoro di questa fase è la Didone abbandonata (1724).

La seconda fase (1730-1740) corrisponde al primo decennio viennese. Ne fanno parte i due capolavori, l’Olimpiade e il Demofoonte (1733) e il fortunatissimo La clemenza di Tito (1734). In questa fase, Metastasio si abbandona ai temi elegiaci, patetici e sentimentali che predilige, mentre l’elemento eroico è usato con molta parsimonia.

La terza fase comincia con l’Attilio Regolo, scritto nel 1740 ma rappresentato dieci anni dopo. L’ultimo Metastasio privilegia temi eroici che esaltano esempi di “virtù” in modo anche enfatico e retorico.

La riforma del melodramma di Pietro Metastasio

Pietro Metastasio porta a compimento la riforma del melodramma già iniziata da Apostolo Zeno.

Metastasio vuole ridare dignità artistica al melodramma, un genere che aveva tanto più successo tra il pubblico borghese e aristocratico quanto più era screditato presso gli intellettuali e i letterati.

Il Gravina e il Crescimbeni infatti avevano condannato il melodramma come un genere ibrido nel quale diveniva sempre maggiore il peso della musica e sempre più invadente l’esigenza scenica e spettacolare. Metastasio restituisce importanza e dignità al testo melodrammatico rispetto alla musica.

Già Apostolo Zeno, che aveva preceduto Metastasio come poeta ufficiale alla corte imperiale di Vienna, aveva tentato di dare dignità tragica ed eroica ai suoi melodrammi, ma la sua riforma era soltanto intellettuale e non era appoggiata da un autentico temperamento poetico.

Metastasio riprende l’idea che il melodramma è la riproduzione moderna dell’antica tragedia greca. Proprio perché moderno non ritiene che il melodramma debba essere troppo strettamente legato alle regole aristoteliche. Interpreta quindi liberamente le unità di tempo, di luogo e di azione.

Introduce il lieto fine (vi si sottraggono Didone abbandonata e Attilio Regolo) e alterna nel testo le “ariette” (parti cantate da voci soliste) ai “recitativi” (le parti in cui si sviluppa l’azione).

Metastasio respinge gli estremi della tragedia, lo scontro drammatico di passioni violente che tende invece a sfumare. Il dramma di Metastasio non è mai dunque un dramma. I suoi Achille, Ciro e Temistocle e Attilio Regolo e Enea, non hanno più nulla della loro antica origine eroica ma sono ridimensionati sul metro della società settencentesca. I contrasti fra passione e dovere, fra sentimento e ragione, non sono mai veri contrasti, non raggiungono mai la sfera dei grandi scontri ideali e morali.

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