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La salubrità dell’aria di Parini riassunto e parafrasi

La salubrità dell’aria è l’ode composta da Parini nel 1759 su un argomento proposto dall’Accademia dei Trasformati, di cui era membro: l’aria.

Quale problema tratta Parini nell’ode La salubrità dell’aria?

Nell’ode La salubrità dell’aria, pubblicata solo nel 1791, Giuseppe Parini, contrapponendo la purezza dell’aria e la vita serena della campagna brianzola al clima insalubre che infetta Milano, affronta il problema dell’inquinamento atmosferico e ambientale di Milano, determinato da coltivazioni nocive e dalla presenza di rifiuti nauseabondi.

Da cosa è determinato l’insalubrità dell’aria di Milano secondo Parini?

La malsanità dell’aria di Milano dipendeva da precise scelte produttive compiute nelle terre circostanti: essendo calato sui mercati il prezzo dei cereali tradizionali come il grano, aveva subito un incremento la coltivazione del riso e l’allevamento del bestiame. Tanto il riso quanto la produzione dell’abbondante foraggio necessario al bestiame richiedevano però l’allagamento dei terreni e gli acquitrini erano fonte di malaria e di zanzare. Inutilmente le leggi (come ricorda Parini al verso 115) avevano ripetutamente stabilito che nessuna coltivazione irrigua venisse realizzata nel raggio di quattro miglia dalla città.

Nei quartieri di Milano, poi, l’inquinamento atmosferico e il puzzo forte e disgustoso erano accentuati dalla raccolta dei rifiuti organici (letame, carogne di animali), trasportati dai carri con i coperchi spalancati, senza rispetto per gli orari e per le prescrizioni legislative sullo smaltimento dell’immondizia.

Quel che segue è la parafrasi La salubrità dell’aria di Giuseppe Parini, suddivisa per strofe.

La salubrità dell’aria parafrasi

Prima strofa, vv. 1-6

Oh terra felice del mio bel (vago) lago di Pusiano (Eupili), finalmente mi accogli nel tuo abbraccio (seno); e mi avvolgi con l’aria del luogo natale, e mi riempi il petto desideroso (avido) di aria pura.

Seconda strofa, vv. 7-12

Già nel polmone che si dilata (capace) quest’aria tonificante (etere vivace) entra impetuosamente (urta sé stesso e scende), guarendo gli spiriti malati (egri spirti), rinvigorendo le forze indebolite e rallegrando l’animo.

Terza strofa, vv. 13-18

Perché (Però ch’) lo scirocco nocivo (austro scortese) non arriva qui a portare umidità (vapor): e un’alta catena (schiena) di monti, che la Tramontana (Borea) non riesce a valicare con il suo soffio gelido (rigid’ale), protegge (guarda) il paese.

Quarta strofa, vv. 19-24

Qui non ristagnano paludi che dal fondo fangoso (impuro letto) emanino verso le teste non protette delle persone (a i capi ignudi) una nebbia (nuvol) infetta di malattie: il sole di mezzogiorno (meriggio) rende asciutti i dorsi bagnati di rugiada (molli) dei bei colli.

Quinta strofa, vv. 25-30

Possa morire (Pera) colui che per primo espose la mia città alle infide (triste) acque stagnanti (oziose) e al fango maleodorante (fetido limo); e che per sete di guadagno (lucro) disprezzò (ebbe a vile) la salute dei cittadini.

Sesta strofa, vv. 31-36

Certamente ora costui si dibatte (s’impaccia) nel fango orrido (orribil bitume) del fiume Stige, da cui sollevando il viso maledice (bestemmia) il fango e le acque che decise di raccogliere intorno alla città.

Settima strofa, vv. 37-42

Guarda gli agricoltori malati (languenti cultori), segnati in viso da un pallore mortale in mezzo al riso maledetto (mal nato); e trema, o cittadino, tu che sopporti (soffri) di averne la coltivazione così vicina a te.

Ottava strofa, vv. 43-48

Io nel bel clima privo di pericoli (innocente) dei miei dolci (ameni) colli vivrò felicemente tra gente lieta, che, per quanto gravata (onusta) dalle fatiche, è sana (vegeta) e florida (robusta).

Nona strofa, vv. 49-54

Qui, con la mente libera, purificato (asterso) in acque limpide, al riparo di un’ombra fresca, celebrerò con i miei versi i contadini vivaci e agili (vispi e sciolti) sparsi per i campi coltivati (ricolti);

Decima strofa, vv. 55-60

e le loro membra instancabili nella coltivazione del grano (dietro al crescente pane); e i fianchi esuberanti (baldanzosi) delle spavalde contadine (ardite villane); e il loro bel volto allegro, abbronzato e vermiglio,

Undicesima strofa, vv. 61-66

dicendo: Oh genti fortunate, che in un clima mite (dolci tempre) respirate quest’aria sempre mossa (rotta) e purificata (purgata) da venti fugaci (fuggitivi) e da limpidi ruscelli (rivi).

Dodicesima strofa, vv. 67-72

La natura fu ben generosa di cielo e d’aria pura anche (ancor) nei confronti di Milano (la città superba): ma chi conserva ora quei bei doni, fra il lusso e l’avidità (avarizia) e la disennata indolenza?

Tredicesima strofa, vv. 73-78

Non fu sufficiente, ahimè, che avesse intorno stagni putridi; anzi, per inquinar ancor più la propria aria (il giorno), essa ha portato (trasse) fin sotto le sue mura le acque maledette (scelerati rivi) per farle marcire sui prati

Quattordicesima strofa, vv. 79-84

e la salute collettiva (comun) fu sacrificata (sagrificossi) per procurare il pasto a lussuose pariglie (ambiziose mute) di cavalli, le stesse che poi, con crudele ostentazione di ricchezza (crudo fasto), calpestano (calchin) sulle ampie strade il popolo, che ne è travolto.

Quindicesima strofa, vv. 85-90

A voi il timo, lo zafferano (croco) e la menta selvatica riempiono in ogni luogo l’aria dei loro vari effluvi aromatici (atomi), che stimolano (pungon) le narici con sensazioni (sensi) dolci e gradevoli (soavi e cari).

Sedicesima strofa, vv. 91-96

Invece ai piedi dei palazzi cittadini mucchi di letame (fimo) imputridiscono; e ammorbano con esalazioni nocive (di sali malvagi) l’aria inerte (lenta), che è rimasta a stagnare fra gli alti (sublimi) edifici.

Diciasettesima strofa, vv. 97-102

Qui le case dei poveri (i lari plebei) rovesciano in strada cascate sconvenienti (fonti indiscrete) di liquami malsani e nocivi (fracidi e rei) dai vasi più umili (spregiate crete); da essi (onde) si diffonde (s’aggira) un fetore (vapor) che si inala respirando (col fiato s’inspira).

Diciottesima strofa, vv. 103-108

Animali morti (Spenti animai), abbandonati per le vie affollate (frequenti), riempiono il giorno d’estate con le loro esalazioni malsane (aliti corrotti): che spettacolo ripugnante sul cammino (su l’orme) dei cittadini!

Diciannovesima strofa, vv. 109-114

E appena cala il sole, i carri dei rifiuti (vaganti latrine), con le coperture aperte (spalancate gole), percorrono (lustran) ogni quartiere della città, che, ancora sveglia, respira (beve) quell’aria nociva (molesta).

Ventesima strofa, vv. 115-120

Le leggi lo vietano, è vero; e Temi osserva con severità (bieco guata) quello che accade: ma la pigrizia dei privati cittadini (l’inerzia privata) si cura soltanto di sé stessa. Cittadino dissennato! Non riesci a vedere, nel danno collettivo, anche il tuo stesso danno?

Ventunesima strofa, vv. 121-126

Ahi, ma dove corro allontanandomi (corro e vago) dalle belle colline e dal bel lago (Pusiano) e dalle contadinelle alle quali un’aria così stimolante (viva) e pura (schietta) fa ondeggiare il petto?

Ventiduesima strofa, vv. 127-132

La mia appassionata ispirazione poetica (calda fantasia) percorre una strada trascurata (negletta), cercando sempre l’utilità sociale, ed è felice solo quando può unire all’utile il merito (vanto) di una poesia piacevole (lusinghevol canto). In quest’ultima strofa, Parini specifica che segue il principio del poeta latino Orazio (65-8 a.C.) di una letteratura utile e dilettevole, che unisca l’utilità pratica e sociale dei contenuti al piacere della bella forma.

 

 

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