La selva oscura nella quale Dante Alighieri si imbatte, a metà del percorso della vita terrena («nel mezzo del cammin di nostra vita»), è un luogo simbolico, metafora del traviamento morale e intellettuale dell’uomo che ha smarrito la via del bene.
La selva oscura di Dante
È un’impresa assai dolorosa per Dante descrivere le caratteristiche di questa selva intricata e difficile da percorrere, tanto che il solo pensiero lo spaventa. È un’esperienza così angosciosa che la dannazione eterna è una condizione di poco più grave; ma per poter esprimere la beatitudine che gliene deriverà, egli è costretto a raccontare anche il male che vi ha trovato.
Il poeta non è in grado di riferire come è entrato nella selva. Tuttavia, dopo essere giunto alle pendici di un’altura che la delimita, egli ha rivolto lo sguardo verso l’alto e ha visto la sommità del colle inondata dai raggi del sole, (simbolo di Dio, della Grazia divina).
Alla vista del sole, che conduce l’uomo per la retta via, si è acquietata un poco la paura, che a lungo si era insinuata nella profondità del suo cuore e ha così inizio l’ascesa di Dante.
Ma ecco all’improvviso comparire una lonza che gli impedisce il cammino. Il poeta, che sta per tornare sui suoi passi, si sente tuttavia confortato dalle circostanze temporali particolarmente favorevoli (è l’alba ed è primavera). Ma prima un leone affamato, e poi una lupa lo inducono a tornare nella selva oscura.
Sulla strada del ritorno, Dante incontra però Virgilio, grande poeta dell’antichità e suo modello letterario. Virgilio gli rivela come sia necessario, per raggiungere il colle, seguire un altro itinerario, perché quella lupa spaventosa uccide ogni persona che si ponga sul suo cammino, e continuerà a uccidere fino a quando non giungerà un cane da caccia che la farà morire con dolore.
Quindi il poeta latino si offre a Dante come guida attraverso i tre regni dell’oltretomba (Inferno, Purgatorio e Paradiso). Dante accetta e inizia il suo straordinario viaggio.