La tragedia nacque nell’antica Grecia ed ebbe origini sacre. Era infatti una rappresentazione in cui sacrifici e preghiere legati al culto del dio Dioniso prendevano forma scenica.
La tragedia greca raggiunse la sua configurazione definitiva nel V secolo a.C. Essa era ripartita in cinque atti e prevedeva la presenza di un coro, ossia di un gruppo di attori-ballerini di sesso maschile, vestiti con preziosi costumi e muniti di maschere, che si esibivano in movimenti scenici e declamavano versi.
In Grecia le tragedie erano presentate al pubblico durante vere e proprie gare tra tragediografi, in cui una giuria popolare attribuiva premi alle opere migliori. Durante tali competizioni pubbliche ogni autore presentava solitamente una trilogia (ossia tre tragedie tra loro collegate nell’argomento) e una satira (ossia una parodia della trilogia), rappresentate nell’arco di un’intera giornata.
Nella società greca era infatti attribuita grande importanza al teatro, perché a esso si riconosceva una funzione educativa di primaria importanza, tendente ad esaltare nell’uomo i più alti valori individuali e civili.
Qual era lo scopo della tragedia?
Basata su vicende capaci di suscitare un forte coivolgimento emotivo fra gli spettatori, si riteneva che la tragedia favorisse la purificazione (catarsi) di coloro che vi assistevano, attraverso la sublimazione dei sentimenti di terrore, pietà, sacrificio e onore, trasmettendo così una profonda lezione di vita attraverso i fatti rappresentati. Per questa ragione ad Atene gli spettacoli teatrali erano finanziati dallo Stato e la partecipazione del pubblico era totalmente gratuita (per un approfondimento leggi Spettacoli teatrali nell’antica Grecia) .
Le caratteristiche della tragedia greca
Attraverso una progressiva evoluzione nel tempo, la tragedia greca assunse i seguenti caratteri definitivi:
- nell’azione drammatica erano coinvolti uomini e dèi;
- i protagonisti appartenevano a un rango sociale elevato;
- la vicenda rappresentata era nota a tutti, in quanto tratta dal patrimonio culturale comune;
- venivano affrontati argomenti che mettevano in campo valori universali, comuni all’esperienza di ogni uomo e alla vita di ogni società, quali l’amore, l’odio, il rapporto fra bene e male, il contrasto fra pace e guerra, la necessità di obbedire al volere degli dèi e del destino;
- una catastrofe ribaltava a un certo punto la vicenda inizialmente positiva e rassicurante, provocando rovina, morte e laceranti conflitti fra i personaggi;
- il protagonista infrangeva un divieto divino e di conseguenza doveva espiare la propria colpa; tale infrazione costituiva quasi sempre la causa della catastrofe;
- lo stile poetico era molto elevato, caratterizzato da un registro linguistico alto e dalla ricerca della perfezione formale.
I maggiori autori della tragedia greca
I maggiori autori greci che si espressero in questo genere furono tre tragediografi:
- Eschilo (525-456 a.C.), al quale si attribuisce l’intuizione di staccare dal coro due primi attori, che acquistano identità di personaggi e dialogano tra loro e con il coro, aumentando così le potenzialità drammatiche dello spettacolo;
- Sofocle (496-406 a.C.), che isolò dal gruppo del coro un terzo personaggio;
- Euripide (485-406 a.C.), che approfondì le personalità dei personaggi, ormai trattati come individui dotati di un punto di vista soggettivo e di un carattere autonomo.
La tragedia nel tempo
- Il genere tragico greco fu ripreso e imitato dai latini, che ne seguirono pedissequamente le linee generali. Il più importante tragediografo latino fu Lucio Anneo Seneca (4-65 d.C.), le cui opere presentano spesso scene violente e orrificanti.
- Pressoché dimenticata durante tutto il Medioevo, la tragedia venne nuovamente praticata dagli autori del Rinascimento.
- Tra Cinquecento e Seicento in Inghilterra, per merito del grande drammaturgo William Shakespeare (1564-1616), essa raggiunse vertici di altissimo livello, così come avvenne in Francia grazie alle opere di Pierre Corneille (1606-1684) e di Jean Racine (1639-1699).
- Durante il Romanticismo la tragedia ebbe la sua ultima affermazione significativa: in Italia, con Vittorio Alfieri (1749-1803) e Alessandro Manzoni (1785-1873) e in Germania con Johann Wolfgang Goethe (1749-1832).
- Nella seconda metà dell’Ottocento questo genere perse definitivamente importanza e fu sostituito dalla più scorrevole scrittura del dramma, che meglio si avvicinava alla sensibilità della nuova società borghese.
- Ultimi tragediografi si possono considerare nel XX secolo l’italiano Gabriele D’Annunzio (1863-1938) e il belga Maurice Maeterlink (1862-1949).
- Oggi è un genere non più praticato, mentre nei teatri si rappresentano ancora testi antichi, soprattutto greci.