Le leggi razziali in Italia sono introdotte da Benito Mussolini a partire dall’autunno del 1938. Si tratta di una serie di leggi discriminatorie nei confronti degli ebrei, che ricalcavano le leggi razziali naziste promulgate da Hitler nel 1935, note come Leggi di Norimberga.
Le leggi razziali in Italia
Le leggi razziali del 1938 in Italia
Nel luglio 1938 i quotidiani italiani pubblicano il “Manifesto della razza”. In esso si dichiara che “gli ebrei non appartengono alla razza italiana”. Parte così il censimento degli ebrei. Questo censimento fornirà ai nazisti le liste per avviare le razzie e le deportazioni dall’Italia, quando, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, inizierà l’occupazione.
A partire da settembre 1938, gli ebrei sono esclusi dall’insegnamento; gli alunni non sono più ammessi nelle scuole pubbliche; le librerie non possono più esporre libri di autori ebrei.
Nell’ottobre 1938 il Gran Consiglio del fascismo stende la “Magna Charta” dell’Italia razzista:
- gli ebrei non possono iscriversi al partito fascista;
- non possono avere aziende con più di 100 dipendenti;
- proibito anche prestare servizio militare o come domestici presso famiglie non ebree;
- è proibito essere proprietari di terreni o immobili oltre un certo valore;
- vietati i matrimoni misti tra ebrei e “cittadini italiani di razza ariana”.
Nel novembre 1938 è disposto il licenziamento di tutte le persone di “razza ebraica” dipendenti di uffici pubblici statali e parastali, scuole private, banche, imprese private di assicurazione.
A partire dall’agosto 1939 agli ebrei è fatto divieto di esercitare la professione di notaio e di giornalista. Negli anni successivi sarà loro proibito l’esercizio di qualunque attività.
Tra il 1938 e il 1939 sono circa 420 le leggi, i decreti e le circolari emesse contro gli ebrei, oltre 8000 i decreti di confisca.
Nei lager italiani saranno deportati 8569 ebrei italiani. Solo 1000 scamperanno alle camere a gas.
Le leggi razziali fasciste furono abrogate tra il 1944 e il 1947.