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Le rane di Aristofane, riassunto dettagliato

Le rane di Aristofane è una commedia teatrale messa in scena per la prima volta alle Lenee (feste dell’antica Atene dedicate al dio Dioniso) del 405 a.C. Ottenne il primo premio e il successo fu tale che se ne decretò una seconda rappresentazione.

Le rane di Aristofane riassunto dettagliato

Dioniso (strettamente legato alle origini del teatro), ammiratore di Euripide (morto nel 406 a.C., pochi mesi prima che la commedia Le rane di Aristofane fosse rappresentata), decide di scendere nell’Ade per riportarlo in vita e salvare così la tragedia dal declino, poichè gli sembrava che non ci fosse nessuno tra i giovani che potesse prenderne il posto.

Si traveste da Eracle, sperando di intimorire gli abitanti degli Inferi, e insieme al suo fido servo Xantia inizia il viaggio. Prima però sostano alla casa di Eracle. Questi ha già percorso quella tenebrosa strada e può quindi dare qualche consiglio in merito.

Iniziano il pericoloso cammino. Il primo personaggio che i due viandanti incontrano è un defunto, condotto alla sepoltura dai becchini. A lui Xantia, servo scansafatiche, chiede un aiuto per portare il bagaglio del padrone, ma ne riceve uno sdegnoso rifiuto, non essendosi accordati sul prezzo.

Giungono all’Acheronte¹ e qui la barca di Caronte accoglie il dio, mentre il povero Xantia deve aggirare la palude a piedi, perché il traghettatore non accetta schiavi.

La traversata è accompagnata da un delizioso coretto di rane (da cui il titolo all’opera), con il quale il dio instaura un simpatico battibecco, e dal canto degli iniziati ai culti misterici.

I due giungono alla dimora di Plutone e Persefone. Il goffo camuffamento di Dioniso avvia una spassosa serie di equivoci. Infatti il dio, bussando alla porta di Persefone, si vede aggredire energicamente da Eaco, servo di Plutone. Eaco crede di avere di fronte Eracle e di poter così finalmente pareggiare il conto con chi aveva strapazzato il suo cane Cerbero². Gli si avventa contro sciorinando una serie di insulti e minacce. Intenzionato a metterle in atto, corre intanto a cercare le terribili Gorgoni, perché col loro morso comincino con l’evirare l’avversario.

A mano a mano che Eaco sciorina le proprie minacce, il povero Dioniso, già a corto di coraggio, diventa sempre più pallido fino ad accasciarsi al suolo e a esternare, con l’allentamento delle visceri, la paura che ormai lo possiede. Xantia è quindi obbligato a sostituirlo nel camuffamento.

Nel frattempo la notizia dell’arrivo dell’eroe ha fatto il giro della reggia, suscitando le vogliose attenzioni della padrona. A questo punto Dioniso decide di indossare nuovamente i panni di Eracle per approfittare della situazione, ma la sfortuna si accanisce contro di lui, perché si imbatte in due ostesse, furibonde e scalmanate, alle quali il vero Eracle aveva devastato la dispensa durante il suo viaggio agli Inferi, senza pagare poi il conto.

Ma alla fine l’equivoco è chiarito e Dioniso e il servo Xantio giungono alla meta. Trovano che è in corso un furibondo litigio fra Eschilo, detentore del trono dell’arte tragica, e il nuovo arrivato Euripide, che vorrebbe prenderne il posto.

Plutone nomina Dioniso giudice della contesa e i due drammaturghi iniziano il proprio duello, nel quale ciascuno cerca di screditare l’arte del rivale.

Euripide attacca con decisione lo stile e il lessico di Eschilo, qualificandolo come ridondante e ampolloso. Contrapponendosi all’avversario, si vanta di aver snellito stile e lessico ampliando il numero dei personaggi recitanti fino a includervi categorie normalmente escluse dall’onore della ribalta, come gli umili, le donne, gli schiavi, e questo in nome della democrazia. Ma su quest’ultimo punto anche Dioniso, qualificato da Eschilo un ignorante in poesia, si rende conto che Euripide ha idee piuttosto distorte, poiché la vera democrazia non consiste nel far parlare gli schiavi sulla scena, ma in qualcosa di molto più concreto.

Eschilo ribatte con energia alle critiche, rivendicando a sé il merito di aver educato i cittadini ai sani principi della tradizione. Come prova concreta del suo impegno nella composizione di drammi impregnati di spirito guerriero adduce i Sette contro Tebe e I Persiani.

Dioniso non riesce a dichiarare il vincitore: nessuna delle critiche che i due si sono mosse reciprocamente è risultata decisiva. È allora portata in scena una bilancia. Sui due piatti è collocato un verso recitato da ciascuno dei poeti: quello che peserà di più sarà dunque migliore!

Alla prova Eschilo risulta in vantaggio, ma non in misura schiacciante. Dioniso è sempre più confuso e indeciso. Il dio spiega a Plutone che egli voleva riportare sulla terra un poeta capace di salvare la città, e credeva che costui non potesse essere altri che Euripide. Ma ora deve ammettere che se costui continua a incontrare il suo favore, Eschilo è però davvero migliore.

Così non sapendo che altro escogitare per proclamare un vincitore, chiede ai due poeti di esprimere ciascuno la propria opinione su Alcibiade e poi sui mezzi adatti a salvare Atene. È su questo argomento che il vantaggio di Eschilo diviene incolmabile e Dioniso finalmente sceglie: porterà sulla terra Eschilo.

Eschilo prima di andare affida a Plutone il compito di riservare il trono di miglior tragediografo a Sofocle, raccomandandogli di non lasciarlo mai ad Euripide.

¹Acheronte era un fiume melmoso posto all’ingresso del regno dei morti. Le anime dovevano quindi attraversarlo per accedere a esso e il compito di traghettatore era svolto da Caronte.

²Cerbero tra le celebri dodici fatiche di Eracle imposte da Euristeo c’era quella di portare sulla terra dall’Ade il cane Cerbero.

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