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Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali

Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, spiegato semplice

Tra Ottocento e Novecento lo sciopero veniva considerato un inadempimento degli obblighi contrattuali e poteva condurre al licenziamento del lavoratore. Durante il regime fascista era addirittura considerato reato. Oggi lo sciopero è un diritto costituzionale e comporta solo la perdita di retribuzione.

Tuttavia anche il diritto di sciopero ha le sue norme e può essere liberamente esercitato nel rispetto delle regole. Nel 1990 il nostro Parlamento ha emanato una legge (la legge 146/1990) mirante a evitare che un uso strumentale dello sciopero lo trasformi da lecito strumento di pressione in arma di ricatto.

La legge 146/1990 riguarda i cosiddetti “servizi pubblici essenziali“, come sanità, trasporti e comunicazioni, la cui sospensione ha pesanti ripercussioni sul piano economico e sociale. I lavoratori di questi settori che intendono scioperare hanno l’obbligo di darne preavviso alle autorità: non possono cioè astenersi dal lavoro in modo improvviso (“sciopero selvaggio”).

Qualora poi lo sciopero risultasse particolarmente dannoso alla comunità, perché per esempio si protrae nel tempo, il prefetto ha la facoltà di precettare gli scioperanti, cioè di ordinare loro la ripresa del lavoro. Se il lavoratore non risponde alla precetttazione, la sua sostituzione non è più reato ed egli diventa anzi licenziabile per “interruzione di pubblico servizio”.

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