Lo spread, letteralmente “divario”, in ambito finanziario, indica la differenza di prezzo tra domanda e offerta, cioè la differenza tra il prezzo più basso a cui un venditore è disposto a vendere un titolo e il prezzo più alto che un compratore è disposto a offrire per quel titolo.
Sentiamo spesso parlare di spread inteso però come credit spread, che è relativo al mercato obbligazionario. Un’obbligazione è un titolo di debito emesso da una società o da un ente pubblico, che attribuisce al suo possessore il diritto al rimborso del capitale prestato all’emittente alla scadenza, più un interesse su tale somma.
Il credit spread misura la differenza tra il rendimento di un’obbligazione e quello di un’altro titolo preso a riferimento. Per esempio misura le differenza tra il rendimento dei BTP (Buoni del Tesoro Poliennali) decennali italiani rispetto a quello dei corrispondenti Bund tedeschi. I Bund tedeschi sono le obbligazioni dello Stato tedesco ritenute particolarmente “solide” e per questo utilizzate come riferimento per le altre nazioni europee.
Pertanto se il divario tra i titoli italiani e quelli tedeschi è minimo, l’economia del nostro Paese può essere considerata in salute e stabile. Viceversa, se il divario cresce, questo è sintomo di instabilità per l’Italia perché gli investitori ritenendo i nostri titoli più rischiosi, pretendono rendimenti più elevati.
Cosa accade se lo spread sale?
Se lo spread sale vuol dire che i titoli di Stato sono più rischiosi e quindi gli investitori chiederanno rendimenti più alti. L’aumento dei tassi d’interesse sui titoli di Stato farà sì che lo Stato spenderà di più per finanziare il proprio debito, cioè per pagare gli interessi a chi ha acquistato BTP.
L’aumento dei tassi d’interesse rende anche più difficile l’accesso al credito da parte delle aziende italiane, rendendole così meno competitive rispetto a quelle straniere.
Infine, ad aumentare sarà anche il costo dei mutui e dei prestiti per i privati cittadini, innescando così una stretta su acquisti e investimenti.