I Lupercalia era una festa molto antica celebrata dai Romani fin dal IV secolo a.C. Papa Gelasio I la soppresse nel V secolo d.C. in quanto festa pagana. Egli la sostituì con l’istituzione del martirio di San Valentino.
I Lupercalia si celebravano il 15 febbraio in onore del dio Fauno, che proteggeva gli armenti e le greggi dall’assalto dei lupi e per questo era chiamato anche Luperco (latino Lupercus, cioè “protettore contro i lupi”), da cui deriva il nome della festa in suo onore.
Si celebravano presso la grotta detta Lupercale, posta presso il colle Palatino, laddove il pastore Faustolo avrebbe trovato i gemelli Romolo e Remo allattati dalla Lupa. Qui venne eretto il più importante santuario del dio, nel quale i suoi sacerdoti (chiamati luperci) sacrificavano delle capre (simbolo di fertilità) e un cane (simbolo di purificazione). La carne era cotta e consumata durante un banchetto accompagnata da vino.
Poi, alcuni luperci si denudavano; si bagnavano la fronte con il sangue dei capri e si coprivano con le pelli degli animali sacrificati. Infine, correvano attorno al colle Palatino (nucleo della primitiva città di Roma) e colpivano con le februa coloro che si trovavano a passare di là, in segno di fertilità. Le februa erano lunghe fruste di cuoio ricavate dalla pelle di capro e da cui deriva il nome del mese di febbraio.
Se la persona colpita era di sesso femminile, si diceva che oltre alla prosperità e alla fortuna essa avrebbe avuto numerosi figli maschi. Questo era un dono che i Romani consideravano molto importante, perché i figli, una volta cresciuti, avrebbero contribuito con le proprie braccia al lavoro dei campi, e quindi al mantenimento della famiglia.