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Mass media in Italia, la storia della televisone italiana

Il termine mass medium (mass media al plurale) nasce nella lingua inglese dall’unione della parola mass («massa») con la parola latina medium.

I mass media, o mezzi di comunicazione di massa, sono tutti gli strumenti utilizzati per diffondere su larga scala informazioni e cultura.

Gli strumenti e le relative tecnologie adoperati sono tra i più vari (stampa, radio, televisione, cinema, internet).

Mass media o mezzi di comunicazione di massa: dalle origini al Novecento

La comunicazione di massa cominciò ad affermarsi in Europa intorno alla metà del Settecento, con la nascita di un’editoria di mercato e la grande diffusione di libri, giornali, riviste e stampe popolari.

Poi durante tutto l’Ottocento si sono susseguite nuove invenzioni che hanno permesso, da un lato, di trasportare contenuti a distanza più velocemente, dall’altro, di raggiungere il pubblico più capillarmente.

Dapprima ci fu l’invenzione del telegrafo. Poi, nella seconda metà dell’Ottocento, seguirono l’invenzione del telefono e il cinema.

Nel Novecento i mass media sono entrati nelle case: prima la radio, poi la televisione, infine internet. Essi hanno cambiato le abitudini quotidiane di un numero sempre maggiore di persone.

Storia della televisione italiana

In Italia, nel Novecento, il fascismo, in particolare, fecero largo uso dei mass media per fini propagandistici. In Italia, nel Novecento, si possono distinguere almeno tre fasi con caratteristiche differenti.

Prima fase

La prima fase, che coincise con il ventennio fascista, vide come protagonista indiscussa la radio. Il 6 ottobre del 1924, per iniziativa dell’allora ministro delle Poste e delle Comunicazioni Costanzo Ciano, si ebbe in Italia la prima trasmissione radiofonica: un concerto di musica classica seguito dal bollettino meteorologico e dalla lettura di alcune notizie. Il tutto avvenne in novanta minuti.

Le potenzialità del mezzo furono ben presto evidenti e l’anno successivo fu imposto il monopolio di Stato su tutte le comunicazioni senza fili: dal 1927 la radiofonia fu affidata a un ente di Stato denominato Eiar (Ente italiano audizioni radiofoniche).

Seconda fase

Nel secondo dopoguerra, la seconda fase, protrattasi fino alla metà degli anni ’70, coincise con l’era della televisione. La televisione, ben presto, prese il posto della radio nei desideri e negli interessi degli italiani.

Le trasmissioni della televisione italiana iniziarono nel 1954. Si trattava di trasmissioni in bianco e nero (per il colore si dovrà attendere fino al ’77).

La televisione ebbe nel nostro Paese un immediato successo. Gli apparecchi televisivi costituirono, tuttavia, per diversi anni un bene di lusso non accessibile a tutte le famiglie: nel 1955 c’erano 4 apparecchi ogni 1000 abitanti, nel ’60 43, nel ’65 117. La televisione non era solo l’ornamento del soggiorno e l’elemento aggregante della vita familiare: era anche un veicolo attraverso cui passavano una lingua comune (la lingua nazionale, che solo in questi anni si affermò nell’uso parlato, a scapito dei dialetti) e nuovi modelli culturali di massa.

Sempre nel 1954 la Rai (Radio Audizioni Italia), nata nel 1944 come erede dell’Eiar, divenne la Rai-Radio televisione italiana. Per un Paese ancora prevalentemente agricolo e con un alto tasso di anafalbetismo, la televisione rappresentò una vera rivoluzione.

Terza fase

La terza e ultima fase iniziò con la riforma della Rai nel 1975 (legge n. 103), che stabilì il pluralismo dell’emittenza tv e la rottura del monopolio statale sulle trasmissioni radiofoniche e televisive.

Negli anni, intorno alla radio e soprattutto alla televisione si formò una vera e propria industria culturale (con la nascita di piccole e medie imprese nel settore dell’editoria, del cinema e della musica).

Riforma della Rai del 1975

Dal 1975 nacquero le prime emittenti private locali e i grandi network (emittenti radiotelevisive a diffusione nazionale). La situazione in quell’anno era molto diversa da oggi: i due unici canali pubblici esistenti (primo e secondo canale Rai, Rai Tre nascerà nel 1979), durante le quotidiane 14 ore di trasmissione, offrivano sceneggiati tratti da opere letterarie o intrattenimento, programmi sportivi (la prima puntata di 90° Minuto risale al 27 settembre 1970) e di informazione.

Prima della riforma del 1975, l’unica alternativa alla Rai era data dalle emittenti private estere (Tele Capodistria, Telemontecarlo e TV Svizzera Italiana) che riuscivano a trasmettere anche in Italia. La prima emittente privata locale italiana fu Tele Libera Firenze, fondata nel 1974.

A livello nazionale, l’impatto della Riforma del 1975 non riguardò solo il numero di emittenti televisive, ma anche il nuovo modello di televisione che le emittenti private, in particolare quelle del gruppo guidato da Silvio Berlusconi, introdussero nel sistema radiotelevisivo italiano. Maggiore commercializzazione e spettacolarizzazione dell’offerta televisiva; ricorso massiccio alla pubblicità; nascita dei talk show: la televisione diventava intrattenimento senza fini educativi, mentre cadevano molti tabù che un’attenta censura aveva imposto al servizio pubblico.

Duopolio Rai-Fininvest

Nel 1990, dopo la legge Mammì (dal nome dell’allora ministro delle Poste e telecomunicazioni, Oscar Mammì), che disciplinava il sistema radiotelevisivo pubblico e privato, si affermò il duopolio Rai-Fininvest.

A tutti questi cambiamenti si accompagnò lo sviluppo di tecnologie come la videoregistrazione e il colore (1979).

In tempi più recenti si sono sviluppate tecnologie sempre più sofisticate per la produzione di nuove tipologie di televisori a cristalli liquidi o al plasma; si sono diffuse la trasmissione satellitare, la televisione digitale e quella a tre dimensioni.

Infine, la televisone via Internet rappresenta la maggiore sfida per il futuro. La «rete» si presenta infatti come uno spazio illimitato, in grado di ospitare una moltitudine di nuove emittenti (grandi e piccole) in grado di contrastare l’egemonia dei grandi network, pubblici e privati.

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