Matrimonio e divorzio nell’antica Roma
Matrimonio nell’antica Roma
Il matrimonio a Roma non aveva nulla a che fare con l’amore. Nel matrimonio romano l’amore tra coniugi era un requisito raro e comunque non richiesto. Era per i cittadini romani un dovere civico, per incrementare con la prole il numero dei romani e contribuire alla stabilità sociale, e familiare (se appartenevano a una famiglia importante) per assicurare la discendenza della famiglia, per incrementare il proprio patrimonio e per stringere alleanze familiari utili alla carriera politica.
La scelta era una prerogativa dei padri della futura coppia e questa non aveva diritto di opporsi. L’età minima stabilita dalla legge era di dodici anni per le femmine, di quattordici per i maschi. La giovanissima età non deve stupirci, perché la vita media nell’antica Roma era molto più breve di oggi ed era importante sfruttare tutta l’età fertile della donna.
Un matrimonio legittimo poteva aver luogo solo se gli sposi erano di condizione libera e se erano cittadini romani. Se una delle parti non aveva quest’ultimo requisito doveva comunque possedere il conubium, il diritto di contrarre il matrimonio. Il divieto di matrimonio tra patrizi e plebei, fissato dalle Dodici Tavole, fu abolito già nel 445 a.C.
Matrimonio cum manu e sine manu
Fino al III-II secolo a.C. a Roma c’era il cosiddetto matrimonio cum manu, che prevedeva il passaggio della donna sotto la potestà del marito; la dote entrava a far parte delle proprietà del marito.
In seguito si diffuse il matrimonio con il consenso di entrambi i coniugi, sine manu, e in questo caso la donna, che a Roma rimase sempre esclusa dalle cariche pubbliche e religiose (a parte eccezioni come le sacerdotesse della dea Vesta), rimaneva padrona di se stessa e della sua parte di eredità.
Divorzio nell’antica Roma
A Roma esisteva anche il divorzio, sancito fin dalle origini, visto che la tradizione lo fa risalire a disposizioni emanate da Romolo.
Nell’età arcaica il divorzio era deciso dagli uomini, i mariti ma anche i padri delle spose, e limitato a casi particolari, essenzialmente l’adulterio femminile.
A partire dal I secolo a. C. il divorzio divenne sempre più libero e deciso anche dalle donne, specialmente con la diffusione del matrimonio consensuale (sine manu): bastava la manifestazione di volontà di sciogliere il vincolo matrimoniale, anche senza alcuna ragione specifica. Per la donna, la condizione di divorziata non era motivo di vergogna, a meno che non fosse stata ripudiata per adulterio.
Eva Cantarella, autrice di importanti studi sulla condizione femminile nell’antica Grecia e a Roma, spiega così il significato sociale del divorzio romano: «Nonostante l’esaltazione retorica del matrimonio unico, e più in particolare della donna che aveva avuto un solo marito (univira), i romani, quale che fosse la loro classe sociale, consideravano ormai il divorzio come un fatto assolutamente normale; e con esso i secondi, i terzi e talvolta i quarti matrimoni. Ovviamente, i ricchi divorziavano più spesso, e non solo per mancanza di problemi economici. Tra le classi alte, come sappiamo, il matrimonio era una forma di alleanza tra famiglie, e con il cambiare delle alleanze cambiavano le mogli. A questo si aggiungeva il problema della fecondità. Per la classe dominante, avere figli era una vera e propria questione di sopravvivenza: una moglie sterile aveva ben poche probabilità di non essere ripudiata e sostituita con un’altra».
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