Le monete romane non fanno la loro comparsa all’inizio della storia di Roma. Come mezzi di pagamento, erano infatti impiegati dei lingotti grezzi di bronzo (in latino aes), chiamati aes rudi, il cui peso poteva variare da pochi grammi a un paio di chili.
Si diffuse poi il bronzo marcato (aes signatum), cioè pezzi di bronzo quadrangolari con rilievi sulle facce: aquile, bilance, spighe ecc. Nemmeno queste però erano ancora monete, bensì una merce di scambio, perché non avevano un peso e un valore fissi.
Le monete romane cominciarono a circolare soltanto verso la fine del IV secolo a.C. al tempo delle guerre sannitiche (e in notevole ritardo rispetto al mondo greco). Venne allora introdotto il cosiddetto bronzo pesante (aes grave), nome generico delle monete non ancora coniate, ma fuse in forma circolare.
A questo punto, un tipo particolare di bronzo pesante, l’asse, divenne la moneta-base del sistema romano; l’asse fu la prima moneta il cui valore non dipendeva dal peso (che era fisso: una libbra latina, circa 270 grammi), ma era stabilito e garantito dallo Stato.
Dall’asse derivavano altre monete di valore decrescente, il semiasse (1/2 asse), il triente (1/3 di asse) e così via.
In seguito, ci furono numerose riforme monetarie. La più importante, in età repubblicana, fissò una nuova moneta-base, il denario d’argento, che alla fine del III secolo a.C. (più tardi cambiò) aveva questa equivalenza: 1 denario d’argento = 2,5 sesterzi = 10 assi.
I calcoli di studiosi dell’economia antica ci danno un’idea dei valori di cui stiamo parlando, per quanto necessariamente approssimativa: un denario corrispondeva più o meno a 4 euro.