I Fasci di combattimento nacquero il 23 marzo 1919 per iniziativa di Benito Mussolini. Il 9 novembre 1921 si trasformò nel Partito Nazionalista Fascista (PNF).
Che cos’era i Fasci di combattimento?
I Fasci di combattimento era un’organizzazione armata paramilitare, cioè organizzata con gradi e subalterni come un piccolo esercito. Tutti i suoi membri ritenevano che l’uso della violenza per imporre le proprie idee fosse legittimo in qualsiasi situazione. A loro Mussolini prometteva uno Stato forte dominato da un unico capo. I membri portavano una divisa, la camicia nera. Erano armati e organizzati in squadre di azione che essi stessi chiamavano “squadracce”. Alle “squadracce” Mussolini aveva dato due parole d’ordine: nazionalismo e antisocialismo.
Chi ne faceva parte?
Nei Fasci di combattimento confluirono gli arditi, i futuristi, i nazionalisti, ex combattenti di ogni arma ma anche elementi di dubbia moralità. I futuristi rappresentavano un gruppetto esiguo ma notissimo di grandi artisti, che proclamava la necessità di una totale rottura con tutto il passato – dall’arte alla politica – ed esaltava la guerra, come “bagno di sangue” purificatore, la velocità, il dinamismo (delle auto, degli aerei, dei treni, ma anche dell’esistenza individuale), e il superuomo, l’eroe che si innalza sulle masse grigie, nato per compiere imprese innarrivabili ed essere adorato dalla folla. E diventare un super uomo era l’obiettivo di Mussolini.
Perché si chiamavano Fasci di combattimento?
Il termine «fasci» si riferiva all’emblema del movimento che riproduceva l’antico fascio littorio dei littori romani, incaricati di scortare i magistrati; sotto questo aspetto, quindi, i fasci erano un simbolo di autorità.
Il termine «combattimento», invece, si riferiva non solo alle battaglie politiche future, ma anche alla guerra vera e propria, la prima guerra mondiale appena conclusa. Il movimento di Mussolini, infatti, si proponeva la difesa degli interessi degli ex combattenti, tornati alla vita civile pieni di rancore per i sacrifici cui si erano sottoposti e che, a loro dire, non erano stati riconosciuti e premiati.
Qual era il programma dei Fasci di combattimento?
Politicamente il movimento dei Fasci di combattimento si schierava a sinistra, chiedeva audaci riforme sociali (come il diritto di voto alle donne, l’abolizione del senato di nomina regia, la richiesta di un’imposta a carattere progressivo sul capitale) e si dichiarava favorevole alla repubblica; ma nel contempo ostentava un acceso nazionalismo e una feroce avversione nei confronti dei socialisti.
Cosa facevano?
I Fasci di combattimento si fecero subito notare per il loro stile politico aggressivo e violento, tutto teso verso l’azione diretta. Non a caso i Fasci di combattimento furono protagonisti del primo grave episodio di guerra civile dell’Italia postbellica: lo scontro con un corteo socialista avvenuto a Milano il 15 aprile 1919 e conclusosi con l’incendio della sede dell’«Avanti!». Era il segno di un clima di violenza e di intolleranza destinato ad aggravarsi col passare dei mesi.
La strage di Palazzo d’Accursio
Per mesi i Fasci di combattimento rimasero un gruppo isolato. Poi, il 21 novembre 1920 a Bologna gli squadristi si mobilitarono per impedire la cerimonia d’insediamento della nuova amministrazione comunale socialista.
Vi furono scontri e sparatorie dentro e fuori il municipio. I socialisti incaricati di difendere il Palazzo d’Accursio, sede del comune, spararono sulla folla, composta in gran parte dai loro stessi sostenitori. Ci furono una decina di morti. Da ciò i fascisti trassero il pretesto per scatenare spedizioni punitive contro le Leghe socialiste della Pianura Padana, poi anche in Toscana, in Umbria, in Puglia.
Infatti, dopo i “fatti di Palazzo d’Accursio”, sebbene i Fasci di combattimento disprezzassero non solo i proletari, ma anche l’intera classe dirigente borghese, Mussolini offrì agli agrari di organizzare spedizioni punitive contro tutti i braccianti in sciopero ottenendo in cambio denaro.
Tra il 1921 e il 1924 ricevette grande quantità di denaro anche dagli industriali, da commercianti e banche.
L’offensiva antisocialista dei Fasci ebbe dappertutto le stesse caratteristiche. Le squadre partivano dalle città e attraversavano in camion le campagne dirigendosi verso i centri rurali. Gli obiettivi erano i municipi, le Camere del Lavoro, le sedi delle leghe contadine, le abitazioni dei dirigenti sindacali sistematicamente devastate e incendiate. I militanti socialisti venivano sottoposti a violenze e umiliazioni e spesso costretti a lasciare il Paese.
Gli operai venivano aggrediti con la medesima tecnica: all’uscita dalla fabbrica, appena erano soli, venivano attaccati da gruppi armati e lasciati sanguinanti sulla strada.
Gli effetti delle spedizioni soddisfecero in pieno le attese del padronato, perché dal 1920 al 1921 gli scioperi nell’agricoltura e nell’industria si dimezzarono. I Fasci di combattimento, che poterono avvalersi del tacito consenso di forze dell’ordine e magistratura, cominciarono ad apparire a una parte crescente dell’opinione pubblica come l’emblema della legge e dell’ordine, pur essendo l’emblema stesso dell’illegalità.