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Odissea Libro XXIV: l’epilogo

Odissea Libro XXIV – Le anime dei Proci nel Regno dei Morti; Odisseo incontra Larte; la conclusione del poema. Riassunto dettagliato

Odissea Libro XXIV: le anime dei Proci nel Regno dei Morti

Il dio Ermes accompagna nel regno dei morti la folla delle anime dei Proci uccisi. Nell’Ade, le anime di Achille e di Agamennone stanno conversando tra loro; l’Atride ricorda la morte gloriosa e i solenni riti funebri celebrati in onore di Achille, mentre lamenta la sua fine ingloriosa (per un approfondimento leggi L’uccisione di Agamennone e la vendetta di Oreste).

Arrivano le anime dei Proci; uno di loro, Anfimedonte, racconta ad Agamennone tutte le vicende del palazzo di Itaca fino alla strage finale (Odissea Libro XXII: la strage dei Proci); Agamennone loda la fedeltà incrollabile di Penelope, che avrà gloria immortale tra gli uomini, e condanna la scelleratezza di sua moglie Clitennestra, destinata ad avere tra gli uomini cattiva fama.

Odissea Libro XXIV: Odisseo e Laerte

Odisseo vede da lontano il vecchio padre, Laerte, vestito da povero contadino, e ne ha pietà. Il suo primo impulso è di correre ad abbracciarlo e rivelargli tutto, decide però di metterlo alla prova per verificare se si ricorda di lui.

Per prima cosa si complimenta per la grande esperienza (non v’è imperizia) di Laerte nel curare le piante con grande attenzione e lavoro; poi, garbatamente, Odisseo invita il vecchio a curare di più la sua persona: egli è vecchio e per di più sporco e malvestito.

Odisseo continua nella sua finzione e finge di aver incontrato uno scortese (non certo gentile) abitante di Itaca e di avergli chiesto invano notizie su un suo antico ospite, Odisseo, figlio di Laerte e nipote di Archisio, ospitato presso la sua Terra cinque anni prima. Il vecchio comincia a ricordare con dolore il figlio e la situazione presente dell’isola dominata dai Proci; ipotizza che il figlio sia morto in terre o mari lontani, e sia rimasto insepolto.

Laerte chiede se lo sconosciuto sia arrivato con una propria nave e con propri compagni, o abbia viaggiato come passeggero su una nave straniera: è l’ultima finzione di Odisseo, nel poema; egli inventa tutto, compresi i nomi della città, Alibante, del padre, Afidante, il proprio, Eperito, quello della terra da cui ora proviene, la Sicania. Poi ritorna a parlare di Odisseo e dell’augurio di rincontrarlo: un accenno che commuove e suscita un pianto di disperazione nel padre.
Odisseo si commuove e prova un forte desiderio di pianto, ma si trattiene e gli si rivela: è Odisseo, suo figlio! Ora si concede all’abbraccio che desiderava da tempo. Subito dopo gli rivela l’uccisione dei Proci: il fatto può provocare la vendetta dei parenti, quindi bisogna fare assai presto nell’escogitare nuovi piani.

Anche Laerte, però, come Penelope (Odissea Libro XXIII: Penelope e Odisseo), prima di cedere alla gioia, chiede un segno inequivocabile di riconoscimento. Odisseo offre due segni chiarissimi: innanzitutto la cicatrice, che ha già determinato il riconoscimento da parte di Euriclea, Eumeo e Filezio, e un dolce ricordo d’infanzia: il nome e il numero degli alberi da frutta che il padre gli aveva donato, quando era bambino. La forte emozione del riconoscimento e dei cari ricordi fa perdere per qualche istante la coscienza al vecchio, che si abbandona tra le braccia del figlio, sorretto da lui.

Odissea Libro XXIV: l’epilogo

A Itaca, intanto, si è ormai sparsa la notizia della strage; una folla di amici e parenti dei Proci si raccoglie al palazzo e porta via i corpi per la sepoltura.

Segue un’animata assemblea popolare: l’araldo Medonte e il saggio nobile Aliterse disapprovano il comportamento dei pretendenti e ricordano che Odisseo gode del favore degli dèi; la maggioranza, però, desidera la vendetta e un forte gruppo di armati guidati dal padre di Antinoo, Eupite, si dirige verso il podere di campagna, dove Odisseo si prepara allo scontro insieme al figlio e ai servi fedeli.

Atena infonde grande vigore a Laerte, che uccide Eupite; poi Odisseo e Telemaco si lanciano con spade e aste sugli altri guerrieri.

Li avrebbero uccisi tutti se la dea Atena non avesse gridato ai contendenti di separarsi; ma i parenti dei Proci si volgono in fuga e Odisseo fa per inseguirli, quando un fulmine di Zeus lo ammonisce a desistere da ulteriori violenze: il re degli dèi vuole la fine delle ostilità. Di questo si fa garante Atena che spinge le parti a stringere tra loro un patto giurato. Su questa scena di pacificazione si chiude il poema.
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