Il palazzotto di don Rodrigo è descritto nel capitolo V de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. La descrizione avviene attraverso gli occhi di Fra Cristoforo, che si reca lì per far cambiare idea a don Rodrigo circa le sue cattive intenzioni su Lucia.
Il palazzotto sorge isolato su un’altura, come una piccola fortezza. Si trova un pò più in alto rispetto al paese di Renzo e Lucia, a circa tre miglia di distanza e quattro dal convento di Pescarenico, il convento dei frati cappuccini dove vive Fra Cristoforo. Ai piedi dell’altura, verso sud e verso il lago, ci sono delle casupole abitate da contadini al servizio di don Rodrigo, che all’occorenza si trasformano in bravi: l’autore definisce il paese «piccola capitale del suo piccol regno».
Mentre passa, padre Cristoforo, nelle case dei contadini dove l’uscio è aperto, nota che tutto è in disordine; oltre a zappe e rastrelli, ci sono fucili, le reticelle per tenere fermo il ciuffo, i corni ripieni di polvere da sparo.
Gli abitanti del villaggio sono «… omacci tarchiati e arcigni… », vecchi che, se provocati, anche se hanno perduto i denti, «parevan sempre pronti… a digrignar le gengive»; donne con certe facce maschie, e con certe braccia muscolose («nerborute») che utilizzano anche quando non bastano le parole. Anche i bambini che giocano sono rozzi e hanno nel loro aspetto qualcosa di provocatorio e di innocenza perduta.
Fra Cristoforo giunge alla fine davanti alla porta chiusa del palazzotto. Le finestre sono chiuse, consumate e protette da robuste inferriate. Tutto intorno regna un gran silenzio e tutto sembra abbandonato. Sui battenti delle porte stanno inchiodati due avvoltoi imbalsamati, uno è completamente senza penne, l’altro ancora pieno di piume. Due bravi, ciascuno sdraiato su una panca, una posta a destra, l’altra a sinistra, fanno la guardia, aspettando di essere chiamati a mangiare gli avanzi del pasto del loro signorotto. Intanto dall’interno del palazzotto padre Cristoforo sente provenire urli e strida di mastini e cagnolini.
L’interno del palazzotto non è descritto nel dettaglio, Manzoni dice solo che ci sono molte stanze e saloni dominati dal buio e dal frastuono confuso di forchette, coltelli, bicchieri e piatti, ma soprattutto di «voci discordi, che cercavano a vicenda di soverchiarsi».
Manzoni non fa mai una descrizione fisica di don Rodrigo, ma descrivendo il palazzotto indirettamente delinea il ritratto del personaggio che vive nel crimine e nella malvagità e la cui forza è costituita unicamente dall’arroganza dei suoi bravi.
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