Paolo Sarpi nasce a Venezia il 14 agosto 1522. Entra nell’ordine dei Servi di Maria e a vent’anni è già teologo a Mantova. Studioso, oltre che di teologia, di filosofia, di matematica, di scienze naturali, si fa ben presto larga fama di uomo di cultura superiore e di religioso impegnato all’interno della Chiesa su posizioni di rinnovamento.
Nel 1585 Paolo Sarpi è a Roma, procuratore generale presso la corte pontificia. Qui vive tre anni, frequentando, fra gli altri, il cardinale Roberto Bellarmino che ne condivide in questi anni le esigenze di rinnovamento religioso. Ha modo di frequentare l’archivio della curia e di conoscere documenti storici di cui si avvarrà per la sua opera storiografica. Nello stesso tempo può verificare di persona il prevalere, nella gerarchia cattolica, degli interessi privati su quelli religiosi.
Dal 1588 Paolo Sarpi torna ai suoi studi veneziani e accentua il suo spirito critico nei confronti della Chiesa.
Nel 1605 esplode un grandissimo contrasto tra la Repubblica di Venezia e il papato in conseguenza dell’arresto, autorizzato dal governo veneziano, di due preti colpevoli di reati comuni.
La Santa Sede, ritenendo più che mai valido il principio confermato dal Concilio di Trento secondo il quale la Chiesa gode di autonomia giuridica rispetto allo Stato (che non può quindi punire gli ecclesiastici), reagisce con estremo vigore: il pontefice Paolo V emana contro Venezia l’interdetto, in base al quale nessuna cerimonia religiosa può più essere celebrata nel territorio della Repubblica.
La Repubblica di Venezia si avvale allora di Paolo Sarpi per sostenere le ragioni della libertà giurisdizionale dello Stato. Paolo Sarpi interviene con il peso della sua autorità giuridica e con la forza della propria personalità, rivendicando i diritti dello Stato contro la Chiesa e appellandosi, contro il pontefice Paolo V, all’autorità del Concilio. È perciò scomunicato.
Sul piano strettamente politico la vicenda si conclude con un compromesso: i due preti, imprigionati, sono consegnati al papa, ma la Repubblica conferma la validità dei propri diritti. Si apre in tutta Europa un vasto dibattito sui rapporti tra Chiesa e Stato.
Le opere di Paolo Sarpi
La storia della controversia fra Venezia e il papato, Istoria per l’Interdetto, è da Sarpi composta fra il 1606 e il 1607 ma pubblicata solo postuma a Ginevra.
Sin da ora si può notare che le sue opere non possono essere pubblicate in Italia, dove il tribunale dell’Inquisizione ne proibisce la stampa, ma solo all’estero, in nazioni di religione non cattolica.
Intanto la Santa Sede tenta invano di assassinarlo per mano di sicari, ma anche questo fatto contribuisce ad allargare la sua fama di intellettuale che si diffonde in tutta Europa.
Paolo Sarpi si avvicina in questo periodo alle posizioni luterane senza peraltro abbracciarle. Entra in contatto con i diplomatici stranieri operanti a Venezia e attraverso l’ambasciatore inglese Dudley Carleton con gli ambienti politici e culturali dell’Inghilterra (dove pensa anche di emigrare). Ciò spiega perchè la sua Istoria del Concilio Tridentino, scritta nel 1613-1614, esca a Londra nel 1619. L’opera è immediatamente posta all’indice. Paolo Sarpi muore pochi anni dopo, il 15 gennaio 1623.
Istoria del Concilio Tridentino
L’opera, in otto libri, racconta gli avvenimenti intercorsi fra il papato di Leone X (1513-1521) e il 1564.
Si analizzano quindi i fatti che precedono e poi quelli che caratterizzano il Concilio di Trento; questi ultimi sono minuziosamente raccontati in forma di diario.
Paolo Sarpi si avvale di materiale documentario spesso di prima mano, secondo l’insegnamento di Francesco Guicciardini. E come aveva già fatto questo autore indaga minutamente la psicologia e il comportamento dei personaggi principali.
La sua è un’opera rigorosa nell’impianto e nell’esposizione, con un’attenzione “scientifica” non solo alla documentazione, ma anche all’analisi e alla discussione delle fonti; e tuttavia è anche un’opera di parte, in cui si dimostra una tesi precisa.
A Paolo Sarpi interessa soprattutto mostrare il gioco di interessi privati e politici, di intrighi, di finzioni, di trame diplomatiche che muovono i protagonisti.
La visione di Paolo Sarpi è sostanzialmente negativa e pessimistica: al posto di una divina Provvidenza, è un deteriore machiavellismo a determinare le vicende umane ed è la Fortuna, così come la concepiscono Machiavelli e Guicciardini, a presiederne gli orientamenti e gli sviluppi.
Lo stile di Paolo Sarpi è freddo, calcolato, razionale, privo di abbellimenti retorici, di aspetti pittoreschi o sentimentali. Vi brilla il sorriso amaro di una superiore e disincantata ironia.
È soprattutto tramite l’ironia che si rivela l’intento polemico dell’opera, rivolta a mettere sotto accusa il centralismo della Chiesa di Roma e la sua profonda corruzione. Il Concilio di Trento vi è visto, in modo del tutto antiprovvidenzialistico, come un momento negativo di degenerazione e di rovinosa caduta all’interno della storia della cristianità. Secondo Paolo Sarpi, il sogno della riforma cristiana, di una Chiesa capace di ritornare alla severità e alla castità originaria ed evangelica, di una religiosità più intima e autentica, è spazzato via dal Concilio di Trento.