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Canto 15 Paradiso riassunto e spiegazione

Il Canto 15 Paradiso della Divina Commedia di Dante Alighieri è il primo dei tre canti dedicati alla figura di Cacciaguida, trisavolo di Dante. I canti XV, XVI e XVII del Paradiso sono noti appunto come i “canti di Cacciaguida” e costituiscono un unico nucleo narrativo. Cacciaguida sarà ancora presente ai primi 51 versi del canto XVIII, per riprendere infine il suo posto nella croce degli spiriti combattenti per la fede.

Quali sono gli argomenti del Canto 15 del Paradiso?

  • Silenzio dei beati (vv. 1-12)
  • Cacciaguida si avvicina a Dante (vv. 13-69)
  • Ringraziamento e preghiera di Dante (vv. 70-87)
  • Elogio della Firenze antica (vv. 88-148)

Canto XV Paradiso: Silenzio dei beati (vv. 1-12)

Dante e Beatrice sono nel cielo di Marte, dove risiedono le anime di coloro che combatterono e morirono per la fede.

Le anime si presentano a Dante assumendo le sembianze di una croce greca, in cui pare riflettersi anche l’immagine di Cristo stesso. Sospendono il loro dolce canto per consentire a Dante di parlare, esprimendo così il loro ardente spirito di carità.

Paradiso Canto 15: Cacciaguida si avvicina a Dante (vv. 13-69)

Dal braccio destro della croce risplendente, percorrendolo e continuando lungo il braccio inferiore, si muove un’anima per avvicinarsi a Dante. L’anima accoglie Dante con lo stesso fervore con cui Anchise accolse suo figlio Enea nei Campi Elisi: con questa similitudine tratta dal VI libro dell’Eneide di Virgilio si preannuncia il rapporto di parentela fra Dante e lo spirito.

Il beato (l’avo Cacciaguida, che ancora non ha rivelato il suo nome) si rivolge al poeta parlando in latino e manifesta la sua gioia per il fatto che a Dante, suo discendente, è stata aperta per due volte la porta del Paradiso (sale da vivo al cielo e vi ritornerà per l’eterna beatitudine).

A queste parole lo spirito ne aggiunge altre, ma di così arduo e profondo concetto che Dante non riesce a intenderle, perché vanno oltre le umane capacità dell’intelletto del poeta; poi Cacciaguida ringrazia Dio di aver considerato un suo discendente degno di una missione così alta. Egli che, come tutti i beati, conosce il futuro perché legge direttamente nella mente di Dio, attendeva da lungo tempo Dante. Ora la lunga e trepida attesa dell’evento si è felicemente risolta.

Invita dunque Dante a rivolgergli le domande cui è desideroso di rispondere.

Canto 15 Paradiso: Ringraziamento e preghiera di Dante (vv. 70-87)

Dante rivolge uno sguardo a Beatrice, la quale intuisce la sua richiesta e acconsente con un cenno del capo. Il poeta ringrazia così della festosa accoglienza che gli è stata tributata, sostenendo che nessuna parola è adeguata al sentimento che prova, e chiede all’anima beata di dirgli il suo nome.

Canto XV Paradiso: Elogio della Firenze antica (vv. 88-148)

Cacciaguida, ancora prima di dirgli il suo nome, rivela a Dante di essere il progenitore della sua famiglia e che il proprio figlio Alighiero I, è da più di cento anni in Purgatorio, fra i superbi. Cacciaguida invita quindi Dante ad accorciarne le pene, compiendo opere buone in sua memoria.

Alighiero I è colui che con il suo nome ha dato origine al cognome di Dante, perché da Alighiero I nacque Bellincione degli Alighieri (nonno di Dante) e da questi Alighiero II, padre di Dante.

Ora Cacciaguida rievoca la sua Firenze e la sua vicenda. Quando egli nacque, Firenze era ancora racchiusa nella prima cinta di mura, piccola e modesta, ma anche onesta e pura nei costumi, e non travagliata da lotte intestine. Semplici e senza sfarzo erano gli abiti delle donne; moderate le ambizioni degli uomini; le case non sproporzionate ai bisogni delle famiglie, le abitudini casalinghe. Del tutto ignote e neppure immaginabili l’impudicizia, la sregolatezza, la corruzione politica che deturpano la Firenze di Dante, ingrandita e arricchita.

Cacciaguida – dice – di aver visto Bellincione Berti, illustre fiorentino, andare in giro vestito in modo semplice, mentre sua moglie non si ricopriva il volto di belletti; altri illustri cittadini si accontentavano di vesti di pelle, mentre le loro spose stavano in casa a lavorare al telaio. Le donne di Firenze a quel tempo erano certe di non morire in esilio, né alcuna era abbandonata dal marito che andava in Francia a commerciare; esse si dedicavano ad allevare i figli, a filare la lana, a raccontare le leggende della fondazione di Firenze da parte dei Romani. A quei tempi, conclude Cacciaguida, certe sfacciate donne fiorentine dei tempi di Dante avrebbero fatto stupire tutti, come oggi farebbero personaggi quali Cincinnato e Cornelia.

Egli (Cacciaguida) invece è venuto alla luce e poi è cresciuto proprio nell’epoca felice di una Firenze onesta e austera; nacque mentre la madre invocava la Madonna. Venne battezzato nel Battistero di San Giovanni in Firenze e gli fu dato il nome di Cacciaguida. I suoi fratelli furono Moronto ed Eliseo; poi sua moglie giunse per sposarlo dalla Valpadana, appartenente alla famiglia degli Aldighieri, poi diventato Alighieri. Fu poi fatto cavaliere dall’imperatore Corrado III di Svevia; con lui partecipò alla seconda crociata e in Terra Santa morì combattendo per la liberazione del Santo Sepolcro. La sua fu quindi una morte santa, che gli aprì immediatamente le porte del Paradiso.

 

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