Nel Canto 6 Paradiso della Divina Commedia di Dante Alighieri ci troviamo nel secondo cielo, il cielo di Mercurio, governato dagli Arcangeli. Dante vi incontra gli spiriti operanti per la gloria terrena, tra cui l’imperatore Giustiniano. Gli spiriti operanti per la gloria terrena sono le anime beate che operarono il bene per ottenere buona fama personale sulla terra. Questi beati appaiono totalmente avvolti dalla luce, nella quale la sagoma umana è a malapena distinguibile; cantano e danzano ricolmi di letizia e si muovono come pesci in una peschiera.
Cosa succede nel sesto canto del Paradiso?
Come tutti i VI Canti della Divina Commedia, anche questo affronta il tema politico per mezzo del lungo monologo di Giustiniano, imperatore dell’Impero romano d’Oriente dal 527 al 565 d.C. Il canto, caso unico nel poema, è infatti interamente costruito come discorso diretto del grande imperatore. Il suo monologo è articolato in tre parti:
- esposizione della storia provvidenziale del potere di Roma;
- invettiva politica contro Guelfi e Ghibellini;
- presentazione delle anime del cielo di Mercurio, con particolare attenzione a Romeo di Villanova.
Paradiso Canto 6: Giustiniano racconta la propria vita terrena (vv. 1-27)
Giustiniano spiega a Dante che dopo che Costantino ebbe trasferito nel 330 d.C. la capitale dell’Impero romano a Bisanzio, chiamata poi appunto Costantinopoli (oggi Istanbul), l’aquila romana (l’insegna del potere imperiale) seguitò per oltre duecento anni a reggere da quella sede il governo del mondo. Passando di mano in mano per una lunga serie di sovrani, pervenne alla fine nelle sue, ed egli portò a termine il compito, ispirato da Dio, di riordinare la legislazione romana nel codice che da lui prende il nome (Corpus Iuris Civilis).
Prima però di dedicarsi a questo compito, Giustiniano aveva aderito all’eresia monofisita, secondo cui Gesù Cristo sarebbe stato esclusivamente una divinità, anziché uomo e Dio insieme come vuole la dottrina cattolica. Ma il «benedetto» Agapito (papa dal 533 al 536) lo persuase ad accogliere la dottrina ortodossa della duplice natura di Cristo e ora che è in Paradiso, Giustiniano vede distintamente che Cristo è insieme Dio e uomo.
E non appena si trovò a procedere in pieno accordo con la Chiesa – racconta Giustiniano a Dante – si dedicò interamente alla grande compilazione giuridica, affidando al generale Belisario la gestione militare e politica.
Canto sesto Paradiso: Giustiniano riassune ed esalta la storia dell’Impero romano (vv. 28-96)
Ora segue la parte centrale del monologo di Giustiniano. È la più ampia, eloquente e solenne. Traccia la storia mirabile di Roma, dalle origine leggendarie alle imprese di Giulio Cesare, alla missione di pace di Ottaviano Augusto, alla morte e resurrezione di Cristo sotto Tiberio, alla presa di Gerusalemme da parte di Tito e alla fondazione del Sacro Romano Impero da parte di Carlo Magno. Tutto è stato voluto da Dio.
Canto 6 Paradiso: Invettiva di Giustiniano contro Guelfi e Ghibellini (vv. 97-111)
Il monologo culmina con l’invettiva contro i Guelfi e i Ghibellini. Sono nel torto tanto i Guelfi, che simpatizzano per la monarchia francese (rappresentata da Carlo II d’Angiò), opponendosi all’impero, sia i Ghibellini, che sostengono l’Impero per i loro fini politici, ignorando che la funzione primaria dell’Impero è di garantire la pace e il benessere degli uomini.
Paradiso Canto 6: presentazione delle anime del cielo di Mercurio e Romeo di Villanova (vv. 112-142)
Giustiniano ora mostra a Dante quegli spiriti che sulla Terra operarono virtuosamente stimolati dall’ambizione della gloria e della fama. Tale ambizione ha reso meno eccelsa e meritoria la loro virtù. Ma, sebbene a questo minor merito corrisponda in essi un minor grado di beatitudine, sono paghi della sorte loro assegnata. È impossibile che in Paradiso le anime beate provino invidia per le anime poste in cieli più alti, o un qualunque altro tipo di risentimento. Questo è lo stesso concetto espresso da Piccarda Donati (canto 3 Paradiso), quando aveva detto che la beatitudine delle anime della Luna, pur essendo la meno elevata del Paradiso, era assoluta perché conformata al volere dello Spirito Santo e alla necessaria armonia celeste.
Il canto si chiude con Giustiniano che rievoca la storia esemplare di uno dei beati del cielo di Mercurio: si tratta di Romeo di Villanova, ministro del conte di Provenza, Raimondo Berengario IV. Questi ebbe quattro figlie, che diventarono tutte mogli di sovrani (quindi regine) proprio per l’accorta opera diplomatica di Romeo. Poi le parole invidiose degli altri cortigiani spinsero Raimondo a chiedere a Romeo il conto del suo operato. Romeo, uomo «giusto», gli diede più di quanto avesse ricevuto. Se ne andò via povero e vecchio. Se il mondo conoscesse l’atteggiamento nobile che egli ebbe mendicando di che vivere, lo loderebbe assai di più di quanto già non faccia.
Romeo di Villanova, alter ego di Dante
Di sicuro Dante si identificava in Romeo di Villanova, uomo nobile e giusto che non meritava il proprio esilio così come lui stesso, costrettovi ingiustamente e a mendicare di che vivere.
Perché Dante affida a Giustiniano il compito di parlare dell’Impero?
Giustiniano rappresentava, nella tradizione medioevale, il modello del sovrano ideale: un antico imperatore romano cristiano che esercitò il potere temporale in accordo con quello spirituale. Dante gli riconosceva un ruolo di eccezionale rilievo come restauratore dell’unità imperiale, per tre motivi:
- il primo si riferisce all’unità giuridica e si basa sulla sua opera principale, il Corpus iuris civilis, che riorganizzando l’intero corpo delle leggi romane unificò e diede fondamento al diritto di tutto il mondo (vv. 10-12 e vv. 22-24);
- il secondo si riferisce all’unità religiosa, simboleggiata dal ripudio dell’eresia monofisita che separava la cristianità d’Oriente da quella d’Occidente (vv. 13-21);
- il terzo si riferisce all’unità politico-territoriale, con le guerre condotte per il ricongiungimento dell’Italia e dell’Africa settentrionale all’Impero (vv. 25-27).