Nel Canto 8 Paradiso della Divina Commedia Dante e Beatrice ascendono al terzo Cielo, il Cielo di Venere, una sfera luminosa che si fa più splendente nell’accogliere Beatrice. Qui ci sono gli spiriti amanti, cioè le anime di coloro che in vita sentirono con particolare intensità l’impulso amoroso, ma poi seppero volgere questa loro inclinazione naturale a nobili azioni. Queste anime appaiono come faville di un’unica fiamma, che cantano e danzano con diversa velocità a seconda del loro grado di beatitudine.
Protagonista assoluto del canto 8 Paradiso è Carlo Martello d’Angiò (1271-1295), primogenito di Carlo II d’Angiò. Dante lo conobbe a Firenze nel 1294: il poeta faceva parte della delegazione che aveva il compito di riceverlo con tutti gli onori del caso; è probabile che i due avessero stretto amicizia in virtù dei comuni interessi e inclinazioni; il che giustificherebbe il tono affettuoso dell’incontro nel Paradiso. Per Dante infatti Carlo Martello d’Angiò rappresenta un modello di principe ideale, dotato di cortesia e senso della giustizia: se avesse vissuto di più si sarebbe evitata la cattiva signoria degli Angioini.
Dal racconto della vita di Carlo Martello, Dante trae poi spunto per trattare il tema della disposizione naturale di ciascuno di noi ad una particolare attitudine.
Paradiso Canto 8: Il cielo di Venere (vv. 1-30)
Il Canto 8 del Paradiso si apre con la rievocazione mitologica della dea dell’amore Venere. Da essa trae il nome il pianeta del terzo cielo, dove ora si trovano Dante e Beatrice. Gli antichi credevano che la dea, nata a Cipro, riversasse sul mondo il suo influsso d’amore. Per questo pregavano lei, sua madre Dione e suo figlio Cupido e si credeva che questi, assunto le sembianze di Ascanio, il figlio di Enea, si sedette sul grembo della regina Didone, iniettandole la passione amorosa per Enea (Eneide Libro 1).
Dante afferma che si è accorto di essere asceso al terzo cielo solo per il maggior splendore di Beatrice. Poi vede le luci delle anime che si muovono in cerchio più o meno velocemente, a seconda del proprio grado di beatitudine, cantando l’inno di lode Osanna, in modo tanto celestiale da far nascere in Dante il desiderio di riascoltare quelle note.
Paradiso Canto 8: Carlo Martello d’Angiò (vv. 31-84)
Una di queste luci si avvicina a Dante e rivela che le anime di fronte a lui sono quelle degli spiriti amanti, disposte a soddisfare ogni suo desiderio di conoscenza. Spiega che essi ruotano insieme all’intelligenza angelica dei Principati, cui Dante stesso si rivolse con la canzone Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete (la canzone che apre il secondo libro del Convivio, per cantare il suo amore per la Filosofia, successivo alla morte di Beatrice).
Dante, ottenuta l’autorizzazione di Beatrice, si rivolge all’anima e le chiede di presentarsi; la luce che avvolge il beato si fa assai più splendente, tale è la gioia che egli prova nel rispondere a Dante.
L’anima risponde di essere Carlo Martello, di essere stato al mondo per poco tempo e ricorda il rapporto di amicizia con Dante. Indica i domini sui quali avrebbe dovuto regnare, ovvero la Provenza, l’Italia meridionale e l’Ungheria, e avrebbe regnato anche sulla Sicilia se la rivolta dei Vespri Siciliani (1282) non avesse cacciato dall’isola gli Angioini favorendo l’arrivo degli Aragonesi.
L’accenno ai Vespri siciliani induce Carlo Martello a rivolgere un severo monito al fratello Roberto d’Angiò, che gli è subentrato nell’eredità paterna e l’amministra così malamente. La sua avarizia, l’esoso fiscalismo, la protezione concessa ai funzionari catalani avidi e disonesti, potrebbero provocare nei popoli soggetti una nuova esplosione irrefrenabile di rivolta.
Paradiso Canto 8: Diversità delle inclinazioni umane (vv. 85-135) e necessità di assecondarle (vv. 136-148)
Dante a questo punto chiede a Carlo Martello di sciogliere un suo dubbio: come da dolce seme possa derivare un amaro frutto, cioè come possa da un buon padre nascere un cattivo figlio, da una schiatta insigne un discendente degenere.
Carlo Martello risponde illustrando la dottrina degli influssi astrali.
Nel Canto 16 del Purgatorio, Dante ha già charito che gli influssi delle stelle non determinano le azioni degli uomini né il loro destino. Tuttavia le influenze astrali indirizzano la vita dei singoli individui, che nascono ciascuno con una propria inclinazione. Ma non sempre la Provvidenza divina nell’ordinare le inclinazioni tiene conto delle famiglie. E allora chi è figlio di re non necessariamente sarà un buon sovrano e viceversa.
Perciò Carlo Martello ammonisce gli uomini a non forzare le persone a un destino che non gli compete, tenendo conto unicamente della stirpe a cui appartengono, perché sicuramente farà una cattiva riuscita.
Bisognerebbe dunque assecondare la natura di ciascun individuo e non forzarla deviandola dal suo fine, costringendo gli uomini a svolgere compiti per i quali non sono disposti. Dante probabilmente allude ai due fratelli minori di Carlo Martello: Lodovico si fece frate francescano e non seguì la carriera politica, mentre Roberto, uomo di lettere e studioso di teologia, era re di Napoli.