Patria di Giovanni Pascoli: testo, parafrasi, analisi e commento
In origine questa poesia era stata pubblicata con il titolo Estate, poi, nell’edizione di Myricae del 1897, diventò Patria.
Patria di Giovanni Pascoli: testo
Sogno d’un dì d’estate.
Quanto scampanellare
tremulo di cicale!
Stridule pel filare
moveva il maestrale
le foglie accartocciate.
Scendea tra gli olmi il sole
in fasce polverose:
erano in cielo due sole
nuvole, tenui, róse:
due bianche spennellate
in tutto il ciel turchino.
Siepi di melograno,
fratte di tamerice,
il palpito lontano
d’una trebbiatrice,
l’angelus argentino…
dov’ero? Le campane
mi dissero dov’ero,
piangendo, mentre un cane
latrava al foresiero,
che andava a capo chino.
Patria di Giovanni Pascoli: parafrasi
vv. 1-6 Sogno di un giorno d’estate. Che frinire tremante (quanto scampanellare tremulo) di cicale! Il vento (maestrale) faceva muovere (moveva) per il filare le foglie accartocciate [che producevano un suono] stridulo.
vv. 7-12 [La luce] del sole scendeva fra gli olmi in fasce piene di pulviscolo (polverose); in cielo c’erano due sole nuvole, leggere (tenui), sottili (róse = corrose dal vento): [erano come] due spennellate bianche nel cielo [per il resto] tutto azzuro.
vv. 13-22 [E poi c’erano] siepi di melograno, cespugli di tamarisco (fratte di tamerice), il lontano suono ritmato (palpito) di una trebbiatrice, il [suono] squillante dell’angelus… dove ero? Le campane mi dissero dov’ero, rintoccando (piangendo), mentre un cane abbaiava a uno sconosciuto (al forestiero), che andava con la testa bassa (a capo chino).
Patria di Giovanni Pascoli: analisi e commento
Il poeta immagina di tornare al paese natale (San Mauro di Romagna). Rivede immagini familiari e avverte suoni a lui cari, come il frinire delle cicale in mezzo alla calura della campagna e il rumore di una trebbiatrice.
Guardando il tramonto del sole nel cielo sereno, il suo antico mondo, fatto di visioni e suoni amati, riprende vita. Ma, proprio mentre è al culmine del suo sogno, il suono delle campane e il latrato ostile di un cane lo riportano alla amara realtà.
È il poeta stesso, infatti, il «forestiero» che, nell’ultimo verso, va «a capo chino» per il suo paese natale e a cui anche un cane abbaia, perché non lo riconosce così come l’intero paese.
Il poeta patisce quindi come un dolore e una vergogna («a capo chino») la sensazione di sentirsi esule a casa propria, straniero in patria. E l’abbaiare di un cane, come avviene per ‘Ntoni nell’ultima pagina dei Malavoglia, suggella questa estraneità.
Il testo è costituito da due coppie di strofe di settenari con rima alternata (ABABAB), ciascuna delle quali è preceduta da un verso isolato.
Le prime due frasi (v. 1 e vv. 2-3) presentano ellissi del verbo. Molti gli enjambement, le onomatopee (tremulo, stridule…) e l’uso della metafora (scampanellare/tremulo; palpito; piangendo).
Alternato, come la rima, è il montaggio. Nella prima strofa (vv. 2-6) dominano le sensazioni uditive: lo scampanellare delle cicale, il suono stridulo delle foglie mosse dal maestrale.
Nella seconda strofa (vv. 7-11) troviamo le sensazioni visive: i raggi del sole che penetrano tra gli olmi, le due nuvole, quasi due pennellate di bianco nel cielo.
Nella terza strofa (vv. 13-17) immagini e suoni: il melograno e le tamerici, il «palpito» della trebbiatrice e l’angelus.
Nella quarta e ultima strofa (vv. 18-22) compare un suono (il “pianto” delle campane) e una immagine sonora (il cane che abbaia).
Per un approfondimento leggi Giovanni Pascoli: biografia, opere, poetica