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Pier delle Vigne figura storica e personaggio dantesco

Pier delle Vigne noto anche come Pier della Vigna nacque a Capua attorno al 1190. Dopo aver compiuto gli studi di giurisprudenza a Bologna, nel 1220 entrò nella corte di Federico II (presso la quale fiorì la Scuola siciliana); svolse incarichi notarili presso la cancelleria imperiale.

Ben presto conquistò la fiducia incondizionata dell’imperatore. Divenne infatti primo segretario, giudice della Magna Curia (la grande corte imperiale) e, dunque, capo della cancelleria.

Nel 1247 fu nominato protonotaro e logoteta, due delle massime cariche politiche, che gli conferirono ampi poteri.

Fu uno degli autori di spicco della scuola poetica siciliana. Poeta in volgare egli stesso, fu un eccezionale maestro nell’ars dictandi (arte di scrivere in prosa), tanto che il suo epistolario in latino divenne un modello nelle scuole di retorica. Ma nel 1248 improvvisamente venne accusato di tradimento: arrestato a Cremona, fu rinchiuso in carcere a San Miniato, in Toscana, e venne accecato. Dopo pochi mesi, si uccise.

I motivi precisi dell’accusa non sono chiari. Dante accoglie l’ipotesi che egli fu vittima di una congiura di palazzo, ordita a suo danno da altri cortigiani invidiosi dei favori che egli riscuoteva presso l’imperatore. Dante gli rende giustizia con il canto XIII (13) dell’Inferno.

Pier delle Vigne Divina Commedia

Dante e Virgilio si trovano nel secondo girone del settimo cerchio dell’Inferno; qui sono puniti i violenti verso se stessi (i suicidi e gli scialacquatori). Il luogo è un vasto e tetro bosco, tra alberi rinsecchiti, nodosi, e contorti, e ripugnanti Arpie, che gracchiano svolazzando tra le piante o appollaiate su di esse.

Dante sente dei lamenti di cui non capisce l’origine; spezza il ramo di una pianta, e da esso escono sangue e rimproveri: comprende così che in quelle piante sono gli spiriti dei suicidi.

A rivolgersi a lui è Pier delle Vigne, fedele consigliere di Federico II. Colpito da calunnie e ingiuste accuse, cadde in disgrazia e, perseguitato, finì con il suicidarsi. Giura sulle radici della pianta in cui è rinchiuso di essere innocente delle accuse rivoltegli a suo tempo; prega Dante di raccontare la verità tra i vivi e di difendere il suo buon nome.

Poi Virgilio, pregato da Dante (ora troppo turbato per continuare a rivolgere domande  allo spirito), chiede a Pier delle Vigne in che modo l’anima dei suicidi si trasformi in pianta. Il dannato spiega che le anime sono scagliate da Minosse (il giudice infernale) nella selva e là attecchiscono e crescono, tormentate dalle Arpie. Il giorno del Giudizio Universale, però, esse non riacquisteranno il corpo di cui si privarono: potranno solo appenderlo ai loro rami, perché non è giusto riavere ciò che si è tolto con tanta violenza.

Dante e Virgilio sono ancora accanto all’albero di Pier delle Vigne, quando sentono improvvisamente dei rumori: un latrare e abbaiare di cani, grida, passi di corsa, cespugli e rami che si spezzano.

Dante, spaventato, vede due ombre di uomini nudi e graffiati che fuggono, inseguiti da cagne feroci. Uno di quei disgraziati (Lano da Siena) passa via e scompare; l’altro (Giacomo da Sant’Andrea) cerca di nascondersi in un cespuglio, ma le cagne lo assalgono e lo fanno a pezzi.

Il cespuglio schiantato perde sangue e si leva da esso un fioco lamento: «O Giacomo da Sant’Andrea, a che ti è servito nasconderti tra i miei rami? Che colpa ho io dei tuoi peccati?».

Intanto Virgilio spiega a Dante che quelli inseguiti dai cani sono gli scialacquatori: violenti contro le loro ricchezze, le hanno fatte a pezzi e ora i cani fanno a pezzi loro.

Poi, il cespuglio chiede ai due poeti di raccogliere e avvicinargli i suoi rami spezzati e insanguinati. Infine si rivela: è originario di Firenze, città che mutò il proprio protettore da Marte a San Giovanni Battista e per questo è vittima di continue guerre (solo la statua del dio pagano sull’Arno, di cui sopravvive un frammento, la preserva dalla totale distruzione). Il dannato conclude dicendo di essersi impiccato nella propria abitazione.

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