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Plinio il Giovane, vita e opere, riassunto

Plinio il Giovane (così detto per distinguerlo dall’omonimo zio, Plinio il Vecchio) nacque a Como tra il 61 e il 62. Rimasto orfano in tenera età, fu allevato dall’omonimo zio a Roma, dove frequentò i migliori maestri del tempo.

A quattordici anni compose una tragedia in lingua greca; a diciannove anni cominciò a esercitare l’avvocatura, in cui si distinse particolarmente avendo come modelli Cicerone e Quintiliano.

Nell’89 iniziò il cursus honorum con la questura per poi assumere la carica di console suffetto (= chi entrava in carica in sostituzione del console ordinario in caso di morte di quest’ultimo) nel 100. Fu in occasione di tale nomina che Plinio il Giovane pronunciò il Panegirico a Traiano.
La carriera politica si concluse con la nomina a governatore della Bitinia e del Ponto, ed è proprio in Bitinia che morì, poco più che cinquantenne, forse nel 112.

Di Plinio il Giovane, oltre al Panegirico, ci è pervenuto un ricco Epistolario dall’alto valore documentario.

Panegirico a Traiano – l’unica orazione di Plinio il Giovane pervenuta

Di tutta la produzione oratoria di Plinio il Giovane ci è pervenuto un solo discorso, l’orazione di ringraziamento a Traiano, il Panegirico a Traiano appunto, pronunciato il 1° settembre dell’anno 100 in occasione della propria nomina a console.

Il Panegirico è inoltre il solo documento disponibile dell’oratoria latina della prima età imperiale.

L’orazione si compone di 95 capitoli; Plinio il Giovane ne giustifica la lunghezza adducendo come motivo la straordinaria quantità di meriti di Traiano, nessuno dei quali deve essere taciuto.

Dopo un’invettiva contro Domiziano, del quale Plinio il Giovane condanna la viltà, la ferocia e il crudele accanimento contro i cittadini onesti, passa a elogiare Traiano: nella vita militare si sobbarca le stesse fatiche dei soldati, combatte e vive in mezzo a loro; nella politica fiscale è liberale, si sottopone alle stesse norme morali degli altri cittadini .

Traiano, descritto da Plinio come l’optimus princeps, è dunque l’opposto di Domiziano.
Le lodi a lui rivolte sono dettate da sincera riconoscenza per la soppressione del reato di lesa maestà e per la restaurazione delle magistrature repubblicane.

Fra i grandi meriti di Traiano c’è, secondo Plinio il Giovane, il principio per il quale non è il sovrano ad essere al di sopra delle leggi ma sono queste a regolare l’agire del sovrano (presentandola però come una concessione del principe).

L’elogio di un imperatore vivente è cosa totalmente nuova. Plinio si fa portavoce della volontà del senato, che attraverso la sua voce, fa sapere di essere favorevole al principio adottivo.

Con tale metodo il parere del senato diventa decisivo nella designazione dell’imperatore, e questo è sufficiente perché l’aristocrazia si senta appagata.

Plinio il Giovane ci tiene a sottolineare che tutto si deve reggere su un tacito accordo: il sovrano ha tutto da guadagnare dal consenso del senato, perché può tranquillamente gestire il suo potere. L’aristocrazia senatoria in cambio di libertà e rispetto della propria dignità rinuncia a porsi sullo stesso livello del principe, accettando di svolgere un ruolo subordinato.

Lo stile è elegante e scorrevole, anche se sono abbondanti gli artifici retorici, come era nella moda del tempo.

Plinio il Giovane Epistole

È una raccolta di ben 371 lettere. Delle Lettere di Plinio il Giovane, 247 sono inviate ad amici e parenti, e costituiscono i primi 9 libri.

Il libro X, pubblicato postumo, contiene il carteggio con Traiano, e precisamente 73 lettere di Plinio il Giovane al principe e 51 risposte di questi. Il carteggio con l’imperatore risale al periodo in cui Plinio era governatore della Bitinia.

La raccolta è preceduta da un proemio nel quale Plinio, rivolgendosi all’amico Setticio, spiega il criterio con cui ha ordinato le lettere: esse non seguono un ordine cronologico perché l’autore non vuole comporre un libro di storia; le dispone così come gli capitano sottomano.

Ma è solo falsa modestia, perché esse sono evidentemente composte per la lettura e la pubblicazione.

Si tratta di un epistolario diverso da quello di Cicerone (per un approfondimento leggi Epistolario di Cicerone, schema riassuntivo) sia sul piano stilistico sia su quello dei contenuti.

Le epistole di Cicerone non erano infatti destinate alla pubblicazione, il tono è quello di chi vuole confidarsi, sfogare le proprie gioie o le proprie tristezze, le speranze o le delusioni, le certezze o le paure, quindi mancano di elevatezza di stile e di tono.

In Plinio, invece, il fine letterario è primario e l’intento comunicativo passa in secondo piano. Egli concepisce l’epistola come una bella pagina di letteratura da sottoporre, al di là del destinatario, fittizio o reale che fosse, all’attenzione dei lettori. Essa è dunque rifinita e curata nei particolari.

Vari i temi trattati. Vanno dalla questione molto dibattuta sulla decadenza dell’oratoria, all’elogio della moglie Calpurnia; dalla denuncia del malcostume di imbrattare le schede elettorali alla descrizione paesaggistica delle fonti del Clitumno o dell’inondazione del Tevere. La più famosa è quella indirizzata a Tacito, in cui è descritta l’eruzione del Vesuvio del 79, che distrusse le città campane di Ercolano, Pompei e Stabia e in cui morì suo zio, Plinio il Vecchio.

Un discorso a parte merita il carteggio con l’imperatore Traiano, che va a costituire il libro X dell’Epistolario. Questo è di particolare interesse storico, perché fornisce numerose informazioni sull’attività religiosa dei primi cristiani e sulle loro cerimonie liturgiche.

Da queste lettere sappiamo che il rapporto con i cristiani gli creava non pochi problemi. Plinio il Giovane non sapeva che fare, se insistere nei suoi atti repressivi dando credito alle denunce anonime, se perdonare coloro che abiuravano alla loro fede oppure punirli per il fatto stesso che erano stati cristiani. E su tutto ciò chiedeva istruzioni.

L’imperatore risponde che non si può stabilire una regola generale, è necessario il buon senso. Un modo per dire di vedersela da solo e di non importunarlo per simili quisquilie.

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