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Politica economica fascista e quota novanta

La politica economica fascista nella sua prima fase (1922-1925) fu di stampo liberista. Sotto la guida di Alberto De Stefani (1879-1969), ministro delle Finanze di Mussolini dal 1922 al 1925:

  • furono concessi sgravi fiscali alle imprese;
  • stimolata l’iniziativa privata con incentivi;
  • ridotta la spesa pubblica.

I buoni risultati raggiunti però non furono sufficienti a fermare l’inflazione e a stabilizzare la moneta.

Politica economica fascista: dal liberismo alla politica dell’autarchia

Nel 1926 Mussolini decide quindi di cambiare linea politica: nomina un nuovo ministro delle Finanze, Giuseppe Volpi (1877-1947); adotta misure protezionistiche; accentua interventi statali nell’economia.

Uno dei primi importanti provvedimenti è l’aumento del dazio sui cereali (la battaglia del grano). È questo il primo passo della politica dell’autarchia: l’Italia deve produrre autonomamente ciò di cui ha bisogno. Ma l’autarchia in un Paese povero di materie prime come l’Italia causa un grave indebolimento del sistema produttivo nazionale.

Quota novanta: la rivalutazione della lira italiana

La seconda «battaglia» è quella per la rivalutazione della lira italiana nei confronti della sterlina. Mussolini fissa allora l’obiettivo di quota novanta, ossia 90 lire per una sterlina. Nel periodo successivo alla Prima guerra mondiale, la moneta italiana aveva infatti subito una notevole svalutazione, arrivando a toccare la punta di 153 per sterlina.

La rivalutazione della lira contribuisce, da un lato, a consolidare in alcuni ceti sociali la popolarità del regime fascista, ma dall’altro, penalizza le industrie, in particolare quelle che dipendono dall’esportazione dei propri prodotti sui mercati internazionali.

L’intervento dello Stato in economia

Negli anni Trenta l’intervento dello Stato in economia si fa sempre più massiccio.

Lo Stato taglia salari e stipendi (riducendo così i consumi privati); nel 1931, anche per fronteggiare gli effetti della crisi economica del 1929, istituisce l’IMI (Istituto Mobiliare Italiano), un istituto di credito pubblico capace di sostituirsi alle banche nel sostegno alle industrie in difficoltà.

Nel 1933 è creato inoltre l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale): diventa azionista di maggioranza di banche in crisi e acquista il controllo di alcune grandi aziende italiane. Diventa così un luogo di corruzione, dove occorre elargire “mazzette”, cercare protezioni, ricambiare favori.

Verso la metà degli anni Trenta l’Italia è ormai in pieno disastro. La lira si è velocemente svalutata e la produzione industriale è diminuita.

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