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Promessi Sposi capitolo 12 Riassunto

Promessi Sposi capitolo 12 Riassunto dettagliato, analisi e commento degli avvenimenti, luoghi e personaggi del celebre romanzo di Alessandro Manzoni

Promessi Sposi capitolo 12 Riassunto. Digressione storica: la carestia a Milano

All’inizio del capitolo 12, in un’ampia digressione storica, Alessandro Manzoni delinea le cause dei tumulti che scoppiano a Milano l’11 novembre 1628, festa di San Martino. Per illustrare la vicenda e i suoi antefatti, si è documentato su fonti e cronache del tempo, inserendovi poi le avventure di Renzo.

Da due anni il raccolto del grano scarseggia, sia per cause naturali connesse al maltempo sia a causa della guerra combattuta dagli Spagnoli contro i Francesi, per impadronirsi del ducato di Mantova e del Monferrato, iniziata nel 1627 e protrattasi sino al 1631. La popolazione sconta i danni causati dal conflitto: forti tasse, la condotta violenta e predatrice degli eserciti, i raccolti distrutti dalla carestia.

La folla crede con certezza che il grano ci sia e che sia tenuto nascosto, perché ha bisogno di materializzare un responsabile cui attribuire la colpa e tolto di mezzo costui la situazione si ristabilirebbe: è un modo per convincersi che la realtà sia diversa da quella che è. Ci ricorda Manzoni che «la scarsezza» «si dimentica d’averla temuta, predetta; si suppone tutt’a un tratto che ci sia grano abbastanza», ma un tal modo di pensare, sentenzia Manzoni, produce «supposizioni che non stanno né in cielo né in terra».

La gente, sempre guidata erroneamente da sentimenti contrari e irrazionali, esige dai magistrati «que’ provvedimenti… atti a far saltar fuori il grano». Il grano, però, non si trova, perché non c’è, ma i contadini, ora, possono scaricare la loro rabbia anche nei confronti dei magistrati incapaci, perché se la farina non si trova la colpa è di chi non la cerca laddove tutti sanno che c’è. Intanto, il pane, alimento fondamentale per la popolazione, sta diventando un lusso.

Il governatore di Milano, don Gonzalo Fernandez di Cordova, sta conducendo la guerra nei pressi di Casale, a cui ha posto l’assedio. In sua vece, il gran cancelliere Antonio Ferrer prende i provvedimenti più urgenti e fissa una «meta», cioè un prezzo imposto per il pane. Il popolo si tranquillizza, ma i fornai non coprono il costo della farina. Don Gonzalo, allora, nomina una giunta di magistrati, perché ponga rimedio a questa insostenibile situazione. Costoro aumentano il prezzo del pane: per i fornai è un sollievo («i fornai respirarono»), ma il popolo è esasperato («ma il popolo imbestialì»).

Promessi Sposi capitolo 12 Riassunto: Il Tumulto di San Martino. L’assalto al forno delle grucce

Centro dell’attenzione, ora, diventa la folla cittadina, che si prepara all’azione la sera del 10 novembre 1628 (la sera in cui il paesello di Renzo e Lucia vive la rocambolesca notte degli imbrogli). Per descrivere la folla, mossa e governata dalla passione ma anche dalla stupidità, perché agisce senza ragionare, guidata solo dall’istinto, Manzoni ricorre spesso all’area semantica dell’acqua, della tempesta e del mondo animale.

La gente si riversa nelle strade e nelle piazze («le strade e le piazze brulicavano di uomini». Il verbo brulicare è attribuibile agli insetti, ma qui indica un movimento continuo e disordinato di persone) e si riunisce in gruppi, così come fanno le gocce di pioggia cadute «sullo stesso pendìo». In questi gruppi ci sono poi coloro che si adoperano per intorbidare le acque («l’acqua s’andava intorbidando e s’ingegnavano d’intorbidarla di più»), ovvero creano intenzionalmente confusione nelle menti e negli animi, con quelle storie «che i furbi sanno comporre, e che gli animi alternati sanno credere».

Il giorno 11 novembre 1628, la folla dà luogo ad una serie di tumulti. C’è dapprima l’aggressione ai garzoni dei fornai che recapitano il pane nelle case: gli assalitori sono uniti da una rabbia comune, ma questa rabbia non ha nulla di pauroso, perché la violenza da essi esercitata è rivolta contro le cose più che contro le persone. Così si muovono in «branchi», alla ricerca di ceste di pane da svuotare, senza mai sentirsi soddisfatte di «prede così piccole». Per questo la folla decide l’assalto al forno delle grucce («a quella parte s’avventò la gente»).

Il capitano di giustizia, giunto con i suoi alabardieri per portare soccorso a quelli della bottega, cerca di placare gli animi, prima con fare paterno («figliuoli… a casa, a casa»), poi richiamandoli al «timor di Dio» e al principio d’autorità («che dirà il re nostro signore?»). Ma come le onde del mare («come flutti da flutti») la gente continua ad arrivare, spingendo ancor più avanti coloro che già si trovano lì. Allora il capitano cerca di rabbonirli, lodando la bontà dei milanesi («voi altri milanesi, che, per la bontà, siete nominati in tutto il mondo!»), riceve, però, una sassata in fronte e deve allontanarsi. Del resto, le sue parole, untuose e ipocrite, non sono neanche ascoltate, perché coperte dagli urli della folla («le sue parole, buone e cattive, s’eran tutte dileguate e disfatte a mezz’aria nella tempesta delle grida che venivan giù»).

I padroni e i lavoranti della bottega tentano di allontanare la folla, lanciando pietre dalle finestre: «più d’uno fu conciato male; due ragazzi vi rimasero morti». La collera e la furia della folla cresce e diventa un «torrente»; sfonda porte e finestre. I fornai e i loro garzoni scappano in soffitta e da qui alcuni fuggono attraverso i tetti «come i gatti»; ma la folla entrata nel forno, alla vista di quel pane («la preda») si dimentica di loro e dei progetti di vendetta; saccheggia il forno e porta gli arnesi da lavoro nella piazza del duomo per farne un falò.

Promessi Sposi capitolo 12 Riassunto: Renzo si unisce alla folla e la segue verso la casa del vicario

In mezzo alla baraonda isterica del saccheggio, tra l’arraffare generale, arriva Renzo, sereno e tranquillo, sazio del pane che ha sgranocchiato strada facendo, ignaro di avviarsi proprio nel folto del tumulto. Renzo raccoglie qua e là brani di conversazione («stava in orecchi, per ricavar da quel ronzìo confuso di discorsi qualche notizia»): sentiamo, così, attraverso le sue orecchie, la soddisfazione di chi si ritiene finalmente pago per aver svelato gli inganni degli incettatori di farina («ora è scoperta, – gridava uno, – l’impostura infame di que’ birboni, che dicevano che non c’era né pane né farina né grano»); lo scetticismo di chi teme le rappresaglie delle autorità («vi dico io che tutto questo non serve a nulla, – diceva un altro: – è un buco nell’acqua;… il pane verrà a buon mercato, ma ci metteranno il veleno, per far morire la povera gente, come mosche;… L’hanno detta nella giunta»; «ho già visto certi galantuomini… notano chi c’è e chi non c’è: quando poi tutto è finito, si raccolgono i conti, e a chi tocca, tocca»); l’ira di chi impreca orribilmente («parole da non ripetersi diceva, con la schiuma alla bocca, un altro») e di chi grida che bisogna costruire una grande gabbia per polli, dove mettere tutti i responsabili e dar loro da mangiare solo piante selvatiche destinate all’alimentazione degli animali («scellerati… bisognerebbe fare una gran stia e metterli dentro a viver di vecce e di loglio, come volevan trattar noi»); il sentenziare dell’ «uomo di mondo» che torna prudentemente a casa, perché sa bene come finiscono queste cose («io me la batto. Son uomo di mondo, e so come vanno queste cose. Questi merlotti che fanno ora tanto fracasso, domani o doman l’altro, se ne staranno in casa, tutti pieni di paura»); l’astio nei confronti del vicario di provvisione, ritenuto il colpevole della situazione («quello che protegge i fornai – gridava una voce sonora… – è il vicario di provvisione»); la paura, infine, di chi ha per miracolo scampato le sassate («pane eh? – diceva uno che cercava d’andar di fretta:… pietre… che venivan giù come la grandine…. non vedo l’ora di essere a casa mia.»).

Renzo, all’inizio sa mantenere sangue freddo e distacco, anzi, valuta con spirito critico certe follie irrazionali della gente; per esempio si accorge che la distruzione dei forni non può risolvere il problema del pane («se concian così tutti i forni, dove voglion fare il pane? Ne’ pozzi?»). Poi, a poco a poco, si lascia coinvolgere nei disordini. Decide, infatti, di continuare a seguire la gente sempre più numerosa («più fitta»); in particolare va dietro ad un uomo che attraversa, nel mezzo, la gente in tumulto («egli fendeva l’onda del popolo») e che porta sotto il braccio un fascio di assi.

Assieme alla folla, Renzo, «strascinato dal torrente», si dirige verso il forno del Cordusio, per assaltarlo, invece di tornare a cercare padre Bonaventura.

Il forno è però ben difeso da «gente armata»: c’è un momento d’incertezza («un ristagno»; «un ronzìo confuso»), ma poi tra la folla si eleva una «maledetta voce», che incita tutti a recarsi presso la casa lì vicina del vicario di provvisione per «far giustizia» e saccheggiarla. Quella «maledetta voce» ha quindi riunito le volontà dei componenti della folla, che, per un attimo si erano separate. Scrive Manzoni: «parve il rammentarsi comune d’un concerto preso, piuttosto che l’accettazione d’una proposta».

Questo articolo è tratto dall’ebook “Guida ai Promessi Sposi” in vendita su
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