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Riassunto capitolo 28 Promessi Sposi

Riassunto capitolo 28 Promessi Sposi

Riassunto capitolo 28 Promessi Sposi: i provvedimenti presi dal governo milanese dopo il tumulto dell’11 novembre 1628

Il capitolo 28 dei Promessi Sposi è il primo capitolo interamente storico, in cui nessuno dei personaggi inventati dall’autore è presente.

Manzoni ritorna indietro di un anno, all’indomani dei tumulti di San Martino.

A Milano pare ritornata l’abbondanza e la gente se ne rallegra. È però un benessere apparente, di breve durata, perché i raccolti sono scarsi e le scorte di farina sono rapidamente consumate. La carestia, quindi, presto si fa sentire in tutta la sua drammaticità.

Per evitare accaparramenti, le autorità emanano gride a raffica, che limitano la quantità di pane acquistabile, proibendone l’esportazione dalla città oltre una certa misura. Si tenta anche di ovviare alla rapida diminuzione della disponibilità di farina, mescolandola ad altri cereali come il riso, ma sono soluzioni di scarsa efficacia. Intanto quattro presunti capi della sommossa dei tumulti di San Martino sono impiccati: due davanti al forno delle grucce e due vicino alla casa del vicario di provvisione.

Riassunto capitolo 28 Promessi Sposi: i segni della miseria e della carità

Il lavoro è fermo e così ai mendicanti di mestiere si aggiungono i nuovi poveri: garzoni, operai, servitori licenziati e anche bravi; i contadini dalle campagne si riversano nelle città, nella speranza di un qualche sussidio o elemosina; le morti diventano sempre più frequenti.

Numerosi sono però anche i segni della carità: sia quella dei singoli, sia quella organizzata dal cardinale Federigo Borromeo, che ha scelto sei preti, affinché girino per la città e soccorrano i casi più gravi. Ogni giorno, poi, come afferma il medico Alessandro Tadino, testimone oculare, nel palazzo arcivescovile sono distribuite duemila scodelle di minestra di riso. Anche il sale, che serve per condire l’erba dei prati e rendere commestibile la corteccia degli alberi, è offerto senza risparmio. I soccorsi, tuttavia, non bastano e in molti crollano sopraffatti dagli stenti.

Manzoni riporta un caso agghiacciante, scritto dal Ripamonti, in cui si descrive la scena del cadavere di una donna abbandonato sul ciglio di una strada: «…le usciva di bocca dell’erba mezza rosicchiata, e le labbra facevano ancora quasi un atto di sforzo rabbioso… aveva un fagottino in ispalla, e attaccato con le fasce al petto un bambino, che piangendo chiedeva la poppa… ed erano sopraggiunte persone compassionevoli, le quali, raccolto il meschinello da terra, lo portavano via, adempiendo così intanto il primo ufizio materno».

Osserva l’autore, senza nascondere il suo stupore, che non vi sono cenni di rivolta o di sommossa popolare di fronte a questa insostenibile situazione; eppure si tratta degli stessi milanesi che s’eran fatti sentire il giorno di San Martino! È impensabile che questa rassegnazione sia dettata dalla paura suscitata dalla vista dei quattro impiccati: «ma noi uomini», afferma Manzoni, «ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali mezzani, e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi». La sofferenza è generalizzata, non ne sono immuni neanche i grandi signori e i tiranni.

Riassunto capitoolo 28 Promessi Sposi: il tribunale di provvisione decide di internare tutti i senzatetto, sani o malati che siano, nel lazzaretto

Passa l’inverno e la primavera. Alle prime avvisaglie della calura estiva, incalza sempre più pressante il pericolo di contagi e di epidemie che i cadaveri, gli ammalati, i mendicanti laceri per le strade possano diffondere.

Il tribunale di provvisione decide allora di raccogliere tutti gli accattoni, sani o malati che siano, nel lazzaretto.

Il lazzaretto è un recinto quadrangolare costruito centocinquanta anni prima, per isolare gli appestati. Circondato da un fossato, si erge appena fuori la città, a sinistra di porta orientale. Tra i senzatetto, alcuni vi accorrono spontaneamente, altri temono che il soggiorno si trasformi in una penosa reclusione promiscua di sani e malati. Quindi vengono sguinzagliati gli sbirri con la promessa di compenso per ogni accattone catturato: «la caccia fu tale che, in poco tempo, il numero de’ ricoverati, tra ospiti e prigionieri, s’accostò a diecimila».

Lo spettacolo all’interno del lazzaretto è desolante: in ogni celletta giacciono ammonticchiate tra le venti e le trenta persone sulla paglia putrida e maleodorante. Il pane scarseggia, l’acqua, raccolta dal fossato che scorre attorno al lazzaretto, è inquinata: condizioni ottimali alla diffusione di malattie infettive, aggravate dalle pessime condizioni del tempo che alterna piovosità insistente a maligna siccità e violenta calura prematura.

La gente, già denutrita e indebolita, soffre per «la noia e la smania della prigionia, la rimembranza dell’antiche abitudini, il dolore di cari perduti, la memoria inquieta di cari assenti, il tormento e il ribrezzo vicendevole». La gente è in preda alla disperazione; la situazione va rapidamente aggravandosi e il numero quotidiano di morti raggiunge il centinaio. Allora, il tribunale di provvisione decide di riaprire il lazzaretto, liberando i reclusi «che scapparon fuori con una gioia furibonda», mentre i malati periscono in pochi giorni presso l’ospedale vicino. Intanto i campi riprendono a imbiondire; si torna a mietere un nuovo raccolto che, poco a poco, fa cessare la carestia, anche se la gente continua a morire sino all’autunno del 1629.

Riassunto capitolo 28 Promessi Sposi: la calata dei lanzichenecchi aggrava la situazione

«Era sul finire, quand’ecco un nuovo flagello»: la calata dei soldati tedeschi su Mantova, attraverso il ducato di Milano. Sono i lanzichenecchi, soldati mercenari al seguito dei capitani di ventura, condottieri di professione che combattono per denaro. Sono eserciti terribili, animati solo dalla volontà di saccheggio e di guadagno ottenuto violentemente a danno della popolazione dei luoghi in cui si stanziano. Fra le altre piaghe portano anche la peste, come riferisce allarmato nella sua relazione il medico del tribunale della sanità, Alessandro Tadino. Inutilmente le autorità sanitarie tentano di sensibilizzare il governatore al pericolo tremendo che incombe sul ducato di Milano, scongiurandolo di non aprire i confini alle truppe tedesche: risponde che non sa cosa farci. Le conseguenze di queste parole saranno distruzione e migliaia di morti.

Giustamente, quando don Gonzalo verrà destituito dalla sua carica per gli insuccessi riportati nella guerra del Monferrato, i milanesi esprimeranno il loro disprezzo, accompagnando con sassi, mattoni, torsoli, immondizia di ogni sorta il tragitto della sua carrozza che si allontana dalla città fra arroganti squilli di tromba, secondo l’uso.

Il nuovo governatore Ambrogio Spinola, per abilità e apertura mentale, non si mostra migliore del suo predecessore. Pertanto nel settembre 1629 i lanzichenecchi varcano indisturbati i confini del ducato di Milano e procedono a saccheggi, violenza e distruzione.

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