Home » Riassunti » Letteratura » Divina Commedia » Canto 3 Purgatorio riassunto e commento

Canto 3 Purgatorio riassunto e commento

Eccoci al Canto 3 Purgatorio della Divina Commedia di Dante Alighieri. Esso si svolge nell’Antipurgatorio, il luogo destinato alle anime che, pur essendo state scomunicate, si sono pentite prima della morte.

Il canto 3 del Purgatorio si suddivide in tre parti:

  • la prima parte (vv. 1-45) è di natura intellettuale e tratta le questioni della fisicità oltremondana e della limitata conoscenza umana;
  • la seconda parte (vv. 46-102) è descrittiva e narrativa: Dante e Virgilio avanzano lungo la spiaggia alla ricerca di un passaggio per salire alla montagna del Purgatorio e incontrano la prima schiera di penitenti;
  • infine, nella terza parte (vv.103-145) si svolge l’incontro con Manfredi, il primo grande personaggio storico di questa seconda cantica e il vero protagonista di questo terzo canto, anche se ne occupa solo la parte finale.

Canto 3 Purgatorio riassunto

vv. 1-45 Ripresa del cammino e i corpi impalpabili dei defunti

Alla fine del canto precedente, le anime che indugiavano con Dante e Virgilio, anziché affrettarsi nel loro cammino di purificazione, sono state disperse in una fuga disordinata da Catone (Catone Uticense). Sebbene il rimprovero di Catone si rivolgeva propriamente solo alle anime e non ai due poeti, Virgilio indirettamene se ne sente toccato, per essere venuto meno alla sua missione di guida e di maestro.

Dante, invece, non pensa più a quanto è accaduto, e guarda davanti a sé il monte del Purgatorio, che sorge su un’isola in mezzo al mare.

Il sole, che è sorto all’orizzonte, proietta davanti a Dante l’ombra del suo corpo ma non quella di Virgilio, che è puro spirito e dunque non può proiettare ombra. Dante non la vede e si spaventa, credendo che la sua guida non sia più con lui.

Virgilio lo rincuora spiegandogli che il corpo di cui egli, come tutti gli spiriti, appare rivestito, se pur sensibile ai tormenti come un vero corpo, è tuttavia diafano, impalpabile, in qualche modo fittizio: è un mistero voluto da Dio, incomprensibile per gli esseri umani.

È folle – prosegue Virgilio – chi spera che la ragione umana, limitata, possa comprendere tutto l’operare divino, e quindi intendere le cause e i modi delle opere di Colui, che, nella sua essenza una e trina, è esso stesso incomprensibile all’intelletto dell’essere umano. Questi deve essere pago che le cose sono come sono, senza presumere di poter penetrare il come e il perché. Se infatti gli esseri umani fossero perfetti, non ci sarebbe stato bisogno della venuta di Cristo a salvarli e a rivelare loro i misteri della fede, di fronte ai quali essi si devono fermare. In questa ignoranza si trovano anche i grandi filosofi antichi, come Aristotele e Platone, che, nonostante la loro sapienza, sono stati esclusi dalla rivelazione e dalla salvezza; e questo desiderio di conoscenza inappagato è dato loro come eterna pena nel Limbo.

vv. 46-102 Incontro con la schiera degli scomunicati

Intanto Dante e Virgilio sono giunti ai piedi del monte del Purgatorio, di fronte a una roccia a strapiombo impossibile da salire.

Dalla parte sinistra vedono avanzare molto lentamente un gruppo di anime, che procedono simili a pecorelle (le pecorelle rappresentano le anime che si affidano completamente al volere di Dio). Sono le anime di coloro che si pentirono dei propri peccati solo negli ultimi istanti della loro vita. Sono divise in diverse schiere e quella che ora si fa avanti incontro ai due poeti è quella dei morti scomunicati, perdonati sì dalla Misericordia di Dio, ma esclusi dalla Grazia della Chiesa. Essi debbono vagare qua e là ai piedi della montagna trenta volte il tempo che è durata la scomunica. Tuttavia, le preghiere dei vivi, se rivolte a Dio con sincerità, possono abbreviare le pene delle anime del Purgatorio e permettere loro di raggiungere più presto il Paradiso.

Quelle anime si stupiscono nel vedere l’ombra proiettata da Dante e indietreggiano impaurite. Virgilio spiega loro che Dante è vivo ed è lì per volere di Dio. Quelle anime degne, allora, fanno cenno di seguirle.

vv. 103-145 L’incontro con Manfredi, la condizione degli scomunicati e le preghiere di suffragio

Fra le anime c’è Manfredi di Sicilia, nipote dell’imperatrice Costanza d’Altavilla. Manfredi prega Dante di far conoscere, quando tornerà sulla Terra, la sua vera condizione a sua figlia Costanza. Racconta poi la sua morte nella Battaglia di Benevento e la preghiera finale di pentimento a Dio, che lo accolse tra le braccia della sua misericordia.

Ma racconta anche dell’accanimento con cui il papa Clemente IV e il vescovo di Cosenza perseguitarono le sue spoglie. Clemente IV le fece prelevare dal luogo in cui Carlo d’Angiò aveva dato loro sepoltura, per poi lasciarle insepolte al di fuori del regno, quasi lungo il fiume Garigliano. Da qui il vescovo di Cosenza le fece trasportare a ceri spenti (l’onore dei ceri accesi, normalmente tributato ai morti, è negato agli scomunicati).

Manfredi spiega poi a Dante che la grazia e la misericordia di Dio possono perdonare e riscattare i peccatori fino all’ultimo momento della vita, se essi si pentono; ma coloro che vissero scomunicati sono condannati ad attendere fuori del Purgatorio trenta volte il tempo che vissero in stato di scomunica prima di iniziare il percorso di purificazione.

Tale attesa può però essere abbreviata dalle preghiere dei vivi, e per questo chiede di essere ricordato alla figlia Costanza.

Dante utilizza la figura di Manfredi per esprimere la critica verso l’uso politico della scomunica da parte del papato e per mostrare che la misericordia di Dio è superiore a qualsiasi condanna umana.

 

 

 

Ultimi articoli

Giochi

Sullo stesso tema