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Riassunto capitolo 29 Promessi Sposi

Riassunto capitolo 29 Promessi Sposi.

Riassunto capitolo 29 Promessi Sposi: di fronte alla calata dei lanzichenecchi, don Abbondio, Perpetua e Agnese lasciano il paese e cercano rifugio nel castello dell’Innominato

La popolazione atterrita dall’invasione delle truppe mercenarie sta abbandonando ciascuna il proprio paesello e così stanno facendo anche don Abbondio, Perpetua e Agnese.

Don Abbondio e Perpetua però non sanno dove andare, perché il curato vede ovunque ostacoli insormontabili: i Lanzichenecchi non risparmiano i monti; il lago è agitato; il confine del bergamasco è difeso da soldati. Don Abbondio, in preda al panico, cerca aiuto dagli uomini del paese, ma ognuno è occupato ad organizzare la propria fuga e il curato si sente una vittima incompresa.

Perpetua intanto nasconde la roba e seppellisce vicino al fico anche il tesoretto di casa.

In canonica giunge Agnese, che propone di cercare rifugio presso il castello dell’Innominato: don Abbondio lo conosce personalmente e potrebbe accompagnarla fino là. Mentre il curato solleva perplessità («convertito, è convertito davvero, eh?»; «e se andassimo a metterci in gabbia?»), Perpetua approva la proposta e i tre si mettono in viaggio, abbandonando la chiesa incustodita.

Così la chiesa, a cui Lucia rivolgeva il pensiero con nostalgia affettuosa (Promessi Sposi capitolo 8 Riassunto), in don Abbondio desta soltanto un’occhiata indifferente, è quasi per lui un fastidio, una cosa che non lo riguarda, un dovere imposto non a lui ma agli altri («don Abbondio diede, nel passare, un’occhiata alla chiesa, e disse tra i denti: – al popolo tocca a custodirla, che serve a lui»).

Don Abbondio, in cammino verso il castello dell’Innominato con le due donne, non cessa di recriminare e lamentarsi, prendendosela con tutti i responsabili della guerra: dal duca di Nevers, all’imperatore che s’impiccia in questioni di puntiglio, al governatore di Milano che non sa proteggere la popolazione. Perpetua, invece, più concreta, pensa alla casa abbandonata, alla roba mal riposta nella fretta; Agnese, dal canto suo, si rammarica di non poter rivedere Lucia, dopo un anno di lontananza.

Riassunto capitolo 29 Promessi Sposi: durante il viaggio don Abbondio, Perpetua e Agnese si fermano per una sosta alla casa del sarto

Lungo il percorso fino al castello dell’Innominato, i tre decidono di fare una sosta presso la casa del sarto, che li accoglie con la consueta affabile generosità. Qui Agnese, sconvolta e immalinconita, si sfoga un po’ («diede in un dirotto pianto, che le fu d’un gran sollievo»), ricordando la sua Lucia lontana.

Il sarto organizza alla meglio un pranzetto frugale. Durante il pranzo don Abbondio cerca di ottenere dal padrone di casa qualche notizia sull’Innominato, per accertarsi che permanga nel suo stato di convertito. Il sarto «si mise a parlare alla distesa della santa vita dell’Innominato, e come, dall’essere il flagello de’ contorni, n’era divenuto l’esempio e il benefattore». Viene ricordato anche il cardinale Borromeo, la cui visita è stata un evento storico in quella famiglia. Il buon sarto non rinuncia infatti a mostrare a ogni ospite una stampa con l’immagine di Federigo, appesa al battente della porta a ricordo di tanto onore.

Il «dotto del villaggio» rimpiange sempre di non aver saputo rispondere in modo più adeguato alle parole di Federigo, riducendo la sua uscita a un magro «si figuri!». «Quanto sarei contento di potergli parlare un’altra volta, un po’ più con comodo!» esclama il sarto, sognando l’opportunità che gli offrirebbe di esibire finalmente la sua cultura e la sua eloquenza. Intanto, è arrivato il carretto che porterà don Abbondio, Agnese e Perpetua sino al castello dell’Innominato.

Riassunto capitolo 29 Promessi Sposi: la vita dell’Innominato dopo la conversione

La narrazione a questo punto si interrompe, per riferire sulla nuova vita dell’Innominato. Questi, dal giorno della sua conversione, si è impegnato solo a far del bene. Il suo coraggio ora si esprime non in atti violenti, ma nell’aggirarsi inerme in mezzo a tanti potenziali nemici, perché, dopo aver commesso tanto male agli altri, non si crede in diritto di difendersi se qualcuno volesse ripagarlo della stessa moneta.
E’ proprio questo suo cercare di umiliarsi e di passare inosservato che suscita quella generale ammirazione che è la sua protezione, annullando tutti i propositi di vendetta dei nemici, malgrado possa essere facilissimo colpirlo. I suoi nemici hanno avuto la soddisfazione più grande: vederlo pentito dei suoi torti e concorde con loro nell’esecrare le proprie malefatte. Nessuno osa occupargli il posto che si è scelto in chiesa, in fondo, nell’ultima fila; né i magistrati mai si sognerebbero di approfittare della conversione per accusarlo dei suoi antichi delitti, poiché sarebbe «come tormentare un santo». Giova enormemente all’Innominato la spontanea associazione del suo nome a quello di Federigo, che lo protegge come «uno scudo sacro».

All’incalzare della guerra, l’Innominato aveva messo forza, ricchezza e potenza al servizio del bene: quando i fuggiaschi dei paesi vicini vengono a chiedergli ospitalità, accoglie «quegli sbandati, con espressioni piuttosto di riconoscenza che di cortesia». Sparge la voce che il suo castello è aperto a tutti; arma i servitori e i contadini, ma non egli stesso: vuole restare completamente disarmato, come un docile strumento della Provvidenza. Contemporaneamente mobilita uomini e donne di servizio, perché dispongano letti e giacigli «nelle stanze, nelle sale che diventano dormitori»; tutti lo guardano estatici, dimenticando per un momento i guai e i timori che li hanno spinti lassù («e si voltavano ancora a guardarlo, quando, staccatosi da loro, seguitava la sua strada»).

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