I Ricordi, pubblicati per la prima volta nel 1576, sono una raccolta di 403 pensieri, o consigli, scritti da Francesco Guicciardini e destinati ai membri della propria famiglia. I temi vertono sulla politica, sulla guerra, sulla morale, sulla religione, sulla natura degli uomini.
Scopo di Francesco Guicciardini non è giudicare ma comprendere, registrare la realtà qual è, e soprattutto, penetrare sotto le apparenze, scavare entro la natura umana, riconoscere le complesse e ingannevoli forme nelle quali si svolgono di solito le relazioni sociali.
Nei Ricordi ricorrono frequentemente due parole-chiave: discrezione e particulare.
La discrezione è fatta di intelligenza, di capacità di cogliere gli aspetti peculiari dei fatti e di seguire, senza rigidi schematismi, lo sviluppo degli avvenimenti e il modificarsi delle situazioni, valutando ogni sfumatura.
La discrezione non s’impara sui libri ma consiste in un «buono e perspicace occhio», in una «prudenza naturale», vale a dire in un acume che è frutto di una disposizione naturale, che però va nutrito e corroborato dall’esperienza.
Ma la discrezione è anche nutrita di scetticismo verso progetti che vadano al di là della contingenza immediata, di accortezza tattica, di capacità di manovra, di prudenza, di simulazione, di calcolo, di incapacità a lasciarsi trasportare da uno slancio generoso, di inettitudine a sacrificare l’interesse momentaneo per un’idea generale. Perché al concetto di discrezione è strettamente connesso l’altro concetto-chiave di Guicciardini: quello del particulare, ovvero l’interesse individuale.
Però, precisa Francesco Guicciardini, se il particulare è il punto d’approdo della discrezione esso non va inteso come gretta ricerca di un tornaconto personale e materiale, ma nel significato più nobile di affermazione della propria personalità, della propria dignità e del proprio onore.
D’altra parte la chiusura nel particulare è implacabilmente dedotta dall’amara considerazione della natura degli uomini che sarebbe anche inclinata al bene se non fosse traviata e corrotta dalle mille tentazioni della vita e della realtà, fermentante di desideri, di appettiti inconfessabili, di sciocchezze, di truffe, di tradimenti e priva di ogni luce ideale.
Sulla base di questa amara concezione dell’uomo, che dai singoli si estende alle masse prese nel loro complesso, si giustifica anche per il Guicciardini come per il Machiavelli la necessità di uno Stato forte che si regga sulla forza piuttosto che sulle norme della morale.
La concezione amara dell’umanità che il Guicciardini ha in comune con il Machiavelli, dà l’avvio nei Ricordi a quella strenua e lucida capacità di osservazione che gli permette di guardare le cose e gli uomini con occhio fermo e disincantato, smascherandone brutalmente le ipocrisie, le debolezze, i calcoli meschini.
Da ciò la necessità di saper simulare, anche quando sia contro la propria natura. Da ciò la necessità di far poco conto della gratitudine umana e di appoggiarsi invece sulla propria forza. Da ciò la necessità di dosare attentamente le proprie azioni.
Insomma un mondo, quello del Guicciardini, in cui si è vanificata ogni fede e dove non esistono imprese che s’impongono in virtù della loro carica ideale, ma solo brutali rapporti di forza. Viene così a mancare nella Storia qualsiasi intervento provvidenziale, anche se il Guicciardini riconosce il valore operativo che può avere la fede, che infonde, in chi crede di combattere per una causa giusta, un’arditezza che può contribuire alla vittoria.
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