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Scilla e Cariddi dove si trovano e cosa sono

Scilla e Cariddi secondo la tradizione sono i due mostri marini che abitavano nello Stretto di Messina. Agivano insieme spingendo le imbarcazioni ora verso una sponda ora verso l’altra con lo scopo di affondare chi tentava incautamente di superare lo stretto. Dopo aver fatto naufragare le imbarcazioni, divoravano i marinai.

Chi è Scilla e dove si trova?

Secondo il mito un tempo Scilla (colei che dilania) era una ninfa bellissima di cui Glauco, un pescatore della Beozia, si era innamorato.

Glauco chiese allora alla maga Circe di dare alla ninfa un filtro d’amore. La maga, innamorata di Glauco, invece le fece bere una pozione che la trasformò in un mostro a sei teste con tre fila di denti, con teste canine alla cintola e dodici zampe.

Diventata un orrendo mostro, Scilla viveva ora nascosta in un antro sulla costa calabra dello Stretto di Messina di fronte a Cariddi. Era solita afferrare e divorare i naviganti che le passavano troppo vicino.

Chi è Cariddi e dove si trova?

Di fronte a Scilla, sulla costa siciliana, si trovava invece Cariddi (colei che risucchia). Cariddi era anch’essa una bellissima ninfa, figlia di Poseidone e Gaia. Era ghiotta e golosa, vorace e insaziabile. Fu allora trasformata in mostro da Zeus per punirla del suo continuo appettito.

Il mostro marino Cariddi aveva una bocca enorme con la quale risucchiava e sputava l’acqua di mare tre volte al giorno, formando dei grossi vortici in superficie, che risucchiavano nelle profondità marine le navi e i loro equipaggi, per poi far tornare a galla soltanto i resti.

Scilla e Cariddi mito

Il mito di Scilla e Cariddi nacque per dar corpo alle paure e a timori reali che dovevano provare i naviganti quando attraversavano lo Stretto di Messina vista la presenza, ancora oggi, di correnti e di gorghi pericolosi per le imbarcazioni leggere dell’epoca.

La leggenda dei due mostri marini Scilla e Cariddi ha avuto grande popolarità già nel mondo antico. Omero le ricorda nel libro XII dell’Odissea; successivamente Virgilio nel libro III dell’Eneide e Apollonio Rodio ne Le Argonautiche.

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