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Sistema onomastico dei Romani: i tria nomina

Il sistema onomastico dei Romani: i tria nomina, cioè i tre nomi.

Uno degli aspetti più caratteristici del mondo romano è il suo particolare sistema onomastico, cioè il modo di chiamare le persone. Il sistema onomastico dei Romani rivelava l’origine e la condizione sociale di ogni singolo individuo.

Quanti nomi avevano i Romani?

In età arcaica si usava spesso un solo nome (Romolo ad esempio, il mitico fondatore), oppure due, secondo un uso sabino (come Tito Tazio, appunto re dei Sabini). Ma in seguito tra l’aristocrazia romana si impose l’uso di tre nomi (i tria nomina): il prenome (praenomen), il nome (nomen) e il cognome (cognomen).

Sistema onomastico dei maschi aristocratici…

I prenomi corrispondevano ai nostri nomi propri. Ve n’erano in numero limitato (Gaio, Tiberio, Manlio, Publio ecc.). I patrizi, in particolare, ne usavano pochissimi, una trentina, che tendevano a ripetersi sempre uguali all’interno di una famiglia.
Solitamente il padre dava al primogenito lo stesso suo prenome, che invece variava per gli altri figli, spesso in relazione all’ordine nella nascita (Quinto, Sesto) o al tempo (Lucio, per esempio, era tradizionalmente imposto ai nati “con la luce del giorno”).

Il nome era invece quello della gens a cui si apparteneva, dunque indicava immediatamente la condizione aristocratica di chi lo portava.

Il terzo elemento, il cognome, corrisponde più o meno a ciò che noi definiamo soprannome ed era in origine facoltativo. Divenne col tempo necessario a causa delle molte omonimie. L’uso si diffuse presso i patrizi, ma anche presso le maggiori famiglie non patrizie, e trasmettendosi di padre in figlio divenne un’indicazione del ramo familiare all’interno della gens. Facciamo un esempio per capire meglio: Gaio Giulio Cesare era il Gaio della gens Giulia e apparteneva al ramo familiare che portava il cognomen Cesare.

Alcuni cittadini romani, famosi per aver compiuto qualche particolare impresa (o caratterizzati da particolarità fisiche molto riconoscibili) ricevevano poi un ulteriore soprannome, come nel caso di Publio Cornelio Scipione Africano, il vincitore della battaglia di Zama, in Africa, nella Seconda guerra punica.

Il sistema onomastico… di tutti gli altri

Finora abbiamo parlato dei soli aristocratici, o quasi, anzi dei maschi delle famiglie aristocratiche. E gli altri, che nomi portavano?

Le donne aristocratiche di solito non avevano un prenome, ma semplicemente il nome gentilizio posto al femminile. Per esempio Cornelia, della gens Cornelia appunto, come se non contasse la loro individualità, ma solo la stirpe da cui provenivano.

Tra i ceti bassi la scelta del prenome era più libera e varia. Spesso la scelta del prenome veniva da appellativi popolari. Costoro non avevano ovviamente il nomen gentilizio.

Per quanto riguarda gli schiavi, in età arcaica non avevano neppure il diritto di portare un nome proprio, ma erano designati dal nome del padrone a cui si aggiungeva il suffisso -por (da puer, “ragazzo”). Per esempio Gaipor era lo schiavo di Gaio.
In seguito, l’aumentare degli schiavi impose di distinguerli con un unico nome individuale, in genere scelto dal padrone, che ne rivelava chiaramente la condizione schiavile.

I liberti, cioè gli schiavi liberati, assumevano praenomen e nomen dell’ex padrone, mentre come cognomen restava il proprio nome originario da schiavo. Lo status di liberto (libertus, abbreviato in l. o lib.) doveva essere indicato tra nomen e cognomen.

I figli adottivi prendevano il nome di chi li adottava, con l’aggiunta del proprio nome trasformato in aggettivo mediante il suffisso -anus. Per esempio Gaio Giulio Cesare adottò Gaio Ottavio, che venne così chiamato Gaio Giulio Cesare Ottaviano (Octavianus, in latino), il futuro imperatore Augusto.

A partire dall’età imperiale si decise che bastava citare unicamente il terzo elemento, cioè il cognome (cognomen). Ecco perché oggi parliamo semplicemente di Traiano (e non di Marco Ulpio Traiano, il suo nome completo) o di Adriano (Publio Elio Adriano).

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