Flavio Stilicone, generale romano di origine vandala (359-22 agosto 408). Riassunto di Storia: dall’inizio della sua carriera alla decapitazione.
Stilicone, figlio di un comandante di cavalleria, entrò giovanissimo nell’esercito. Nel 383-384 l’imperatore Teodosio I il Grande lo inviò come ambasciatore alla corte persiana per negoziare la pace e la spartizione dell’Armenia. La missione ebbe successo e tornato a Costantinopoli lo nominò comes domesticorum e gli diede in moglie la nipote Serena.
Nel 385 Stilicone fu nominato magister militum per la Tracia. Si distinse poi nelle guerre contro i Pitti e gli Scoti in Britannia; contro i Germani sul Reno e contro l’usurpatore Flavio Eugenio. Teodosio lo nominò quindi comandante supremo dell’esercito.
Nel 395, alla morte dell’imperatore Teodosio, l’Impero fu diviso tra i suoi due figli: Arcadio (395-408) ebbe la parte orientale; Onorio (395-423) quella occidentale. In considerazione della loro giovane età – Arcadio aveva diciotto anni e Onorio appena undici – il padre Teodosio li aveva affidati a Stilicone.
L’autorità di Stilicone si esercitò in realtà soltanto su Onorio, perché Arcadio, sobillato dai funzionari orientali, manifestò subito di voler seguire una politica indipendente.
Stilicone, poi, si legò a Onorio con vincoli di parentela, dandogli in moglie la figlia Maria e, dopo la morte di questa, la figlia minore Termanzia.
I suoi sforzi per mantenere l’unità dell’Impero incontrarono subito la diffidenza e l’ostilità della corte di Costantinopoli, dominata dal prefetto del pretorio Rufino, geloso del suo potere e insofferente di ogni sua ingerenza negli affari di Oriente.
La situazione precipitò quando i Visigoti di Alarico invasero la Prefettura del pretorio dell’Illirico (una delle quattro prefetture del pretorio in cui era diviso l’Impero di Roma). Stilicone, accorso a difenderla, si vide imporre da Arcadio di tornare indietro e di restituire le truppe orientali ancora ai suoi ordini. Stilicone obbedì.
Nel 397 l’imperatore d’Oriente Arcadio venne a patti con Alarico, dichiarò Stilicone nemico pubblico e, per di più, gli suscitò la rivolta di Gildone in Africa. Alarico riuscì però a domarla.
Nel 401 Alarico invase l’Italia. Stilicone lo ricacciò, dopo averlo battuto a Pollenza (402) e a Verona (403). Fedele alla sua politica moderata non annientò il nemico e consentì ai Visigoti di rientrare nelle loro terre lungo il Danubio. Ciò avvenne perché Stilicone riteneva che essi potevano rappresentare in futuro una risorsa militare su cui contare per contrastare invasioni ancora più pericolose, come quelle degli Unni, che si stavano progressivamente avvicinando. Ma gli avversari di Stilicone lo accusarono di essere un traditore e di non aver voluto annientare i nemici unicamente perché era un barbaro come loro. L’accusa era pretestuosa ma molti la ritennero credibile.
Nel 405-406 gli Ostrogoti invasero l’Italia: Stilicone li fermò a Fiesole. Dodicimila soldati dell’esercito ostrogoto furono arruolati nell’esercito romano, mentre il resto fu ridotto in schiavitù.
L’anno successivo, la più grande coalizione di popoli germanici mai formatasi sfondò il Reno. Molte popolazioni germaniche, tra cui i Vandali, i Burgundi e i Suebi, dilagarono in Gallia, raggiungendo di lì a pochi anni la Spagna.
Furono vere e proprie migrazioni di popoli, perché non comprendevano solo i guerrieri ma tutta la popolazione, con le proprie cose. A metterli in moto furono proprio gli Unni che premevano alle loro spalle.
Di fronte alla terribile minaccia che gravava sull’Occidente, sembrava naturale che la parte orientale dell’Impero garantisse il suo prezioso sostegno. Ma non fu così.
Intanto l’opinione pubblica pretendeva da Stilicone – sempre più solo e osteggiato – vittorie immediate e decisive. Anche la corte occidentale divenne allora favorevole a una politica di intransigenza verso i Germani.
Il 22 agosto 408 Flavio Stilicone venne decapitato. Suo figlio Eucherio venne assassinato il giorno dopo, mentre sua figlia Termanzia, moglie di Onorio, venne ripudiata e allontanata dalla corte.
La morte di Stilicone e la politica di intransigenza intrapresa fecero precipitare i rapporti con i Visigoti, che calarono nuovamente in Italia guidati da Alarico e sottoposero Roma a tre giorni di saccheggio: era il 24 agosto 410. Era il primo sacco subito da Roma dopo quello compiuto dai Galli ottocento anni prima (390 a.C.).