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Sublime specchio di veraci detti parafrasi e commento

Sublime specchio di veraci detti, conosciuto anche con il titolo di Autoritratto, è un sonetto scritto da Vittorio Alfieri il 9 giugno 1786, sul retro del ritratto che gli aveva dipinto François Xavier Fabre, a Firenze.

Metrica del sonetto: schema ABAB ABAB CDC DCD

Testo

Sublime specchio di veraci detti,
Mostrami in corpo e in anima qual sono:
Capelli, or radi in fronte, e rossi pretti;
Lunga statura, e capo a terra prono;

Sottil persona in su due stinchi schietti;
Bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono;
Giusto naso, bel labro, e denti eletti;
Pallido in volto, più che un re sul trono;

Or duro, acerbo, ora pieghevol, mite;
Irato sempre, e non maligno mai;
La mente e il cor meco in perpetua lite:

Per lo più mesto, e talor lieto assai,
Or stimandomi Achille, ed or Tersite:
Uom, se’ tu grande, o vil? Muori, o il saprai.

Sublime specchio di veraci detti Parafrasi

Sublime sonetto (specchio) che rifletti parole sincere (i “veraci detti“) descrivimi come io sono sia nel corpo che nell’anima:
capelli del tutto rossi, talvolta radi sulla fronte;
alto di statura e a capo sempre chino verso il basso;

persona sottile su due stinchi sottilissimi;
pelle bianca, occhi azzurri, aspetto sano;
naso giusto, belle labbra, e denti perfetti;
pallido in volto, più che un re sul trono:

temperamento ora duro, acerbo, ora comprensivo e mite;
sempre arrabbiato e mai maligno,
la ragione (la mente) e il sentimento (il cor) sempre in lite:

per lo più triste e talvolta assai lieto,
ora mi ritengo Achille, ora Tersite:
uomo, tu sei grande o vile? Muori e lo saprai.

Commento

In questa sorta di autoritratto Alfieri si descrive prima dal punto di vista fisico e poi da quello caratteriale e psicologico, paragonandosi a due personaggi dell’Iliade di Omero: Achille, simbolo di coraggio, e a Tersite, simbolo di vigliaccheria.

Usa l’artificio della metafora dello specchio, su cui si riflettono non solo il suo volto ma anche le sue attitudini interiori.

Le due quartine descrivono l’aspetto fisico dell’autore: i capelli, la corporatura, i dettagli del viso; mentre le due terzine insistono sul carattere, sull’interiorità, senza il timore di rivelare difetti o lati particolari di una personalità eccentrica, di un uomo ricco di contrasti, che incarna perfettamente tutti gli elementi che contraddistinguono l’eroe romantico.

Nell’ultimo verso infine il poeta rivolge a se stesso in terza persona un’interrogativa diretta: quale giudizio esprimere su di sé sarà possibile stabilirlo solo davanti alla Morte.

Questo sonetto farà da modello ai due sonetti autoritratto di Ugo Foscolo (Solcata ho fronte) e di Alessandro Manzoni (Capel bruno alta fronte).

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