La teoria del piacere Leopardi la espone diffusamente nello Zibaldone.
Per la teoria del piacere Leopardi fa coincidere la ricerca del piacere con la felicità. La conseguenza è quindi l’infelicità, perché il desiderio di felicità non può essere soddisfatto da un piacere, che non dura tutta la vita.
La facoltà dell’immaginazione consente tuttavia all’uomo di figurarsi mentalmente i piaceri che non esistono nella realtà.
La felicità, dunque, che non esiste nella realtà, secondo Giacomo Leopardi, esiste però nell’immaginazione, fonte di poesia. Essa può consistere:
- nell’allontanamento dalla realtà, e nel rifugio dell’animo in una dimensione infinita o indefinita, nel quale l’anima stessa, per un momento, non avverte il dolore della vita presente (vedi la poesia L’infinito);
- nell’attesa del piacere o di una felicità futura o di un bene che verrà, che tuttavia quando arriverà, non riuscirà a colmare il desiderio di felicità, ma farà addirittura desiderare la condizione di prima (la poesia che meglio incarna questo sentimento è Il sabato del villaggio);
- nella sospensione momentanea del dolore di cui è intessuta la vita; un momento di pausa del soffrire, dice ancora Leopardi, è scambiato dagli uomini per piacere, ma questo piacere è in definitiva «figlio d’affanno, gioia vana, ch’è frutto del passato timore» (La quiete dopo la tempesta).
Anche l’occupazione è una condizione che porta felicità nella vita dell’uomo. Ad essa si oppone il tedio, la noia, che è il male più grande che possa affliggere l’umanità.
La felicità dunque è più facilmente trovata dagli sciocchi e dai bambini che riescono sempre a distrarsi con ogni sciocchezza.
Secondo Leopardi l’umanità poteva essere più vicina alla felicità nel mondo antico, quando la conoscenza scarsa lasciava libero corso all’immaginazione. Nel mondo moderno, invece, la conquista del vero ha portato l’immaginazione a indebolirsi fino a sparire del tutto negli adulti.