La Terza guerra punica ebbe inizio nel 149 a.C. con l’assedio di Cartagine; terminò tre anni dopo, nel 146 a.C., con la totale distruzione della città.
Cartagine, la vecchia nemica di Roma (leggi la Prima guerra punica e la Seconda guerra punica), viveva da decenni in una prosperosa tranquillità, interrotta ogni tanto dai contrasti con l’irrequieto regno di Numidia.
I danni di guerra erano stati quasi del tutto pagati e l’economia era completamente riassestata. A Roma, allora, si diffuse il timore che la città potesse riarmarsi e attaccarla.
Di questo diffuso stato d’animo si fece portavoce Marco Porcio Catone detto il Censore. Egli, alla fine di ogni suo intervento in Senato, era solito ripetere che Cartagine doveva essere distrutta (delenda Carthago) prima che fosse troppo tardi.
Così quando Cartagine dichiarò guerra contro Massinissa, re della Numidia, a causa dei suoi continui soprusi, Roma a sua volta dichiarò guerra a Cartagine, poiché il trattato di pace stipulato alla fine della Seconda guerra punica impediva a Cartagine di dichiarare guerra senza il consenso di Roma: è la Terza guerra punica, 149 a.C.
La Terza guerra punica consistette nell’assedio di Cartagine, guidato da Scipione Emiliano. L’assedio di Cartagine durò dal 149 a.C. al 146 a.C. Fu durissimo perché i cartaginesi, rifiutato l’ordine di evacuare la città – che secondo i romani avrebbe dovuto essere abbandonata e ricostruita più lontano dalla costa – opposero una resistenza disperata.
Nel corso del lungo assedio la città punica soffrì la fame e la pestilenza; infine Cartagine fu rasa al suolo, bruciata, le mura abbattute, il porto distrutto e 50 mila uomini e donne cartaginesi furono catturati e ridotti in schiavitù.
Il territorio di Cartagine fu incorporato nello stato romano come provincia d’Africa.
Secondo la tradizione, sulle rovine di Cartagine venne sparso il sale: un atto simbolico per rendere sterili i resti e sancire l’impossibilità di ricostruzione.