Nella produzione poetica di Ovidio possiamo distinguere tre gruppi di opere: le opere giovanili o amorose, le opere maggiori o della maturità (Metamorfosi e i Fasti), le opere dell’esilio: Tristia, Epistulae ex Ponto, Ibis, Halieutica.
Ovidio compose le opere dell’esilio nel periodo compreso tra l’8 d.C. e l’anno della morte, il 17 d.C. Sono tutte in distici elegiaci, tranne Heleieutica (ma la paternità di quest’opera è dubbia), composta in esametri.
Le opere dell’esilio di Ovidio: Tristia
I Tristia (Tristezze) sono una raccolta, in cinque libri, di 50 componimenti elegiaci composte nel periodo tra l’8 e il 12 d.C. I componimenti sono disposti secondo un ordine cronologico.
Delle singole elegie mancano i nomi dei destinatari; solo in quelle indirizzate alla moglie e ad alcuni membri della famiglia di Ottaviano Augusto, nonché ad una certa Perilla, che potrebbe però essere anche uno pseudonimo, la destinazione è esplicita.
Tanta cautela si può spiegare o con lo zelo del poeta che non voleva coinvolgere nessuno nella sua triste vicenda, o come la conseguenza di un’esplicita richiesta da parte degli amici di non essere menzionati per non venire compromessi. L’ultimo periodo del principato di Augusto era infatti contrassegnato da un tale clima di tensione, di diffidenza e di sospetto, che poteva risultare veramente pericolosa l’amicizia con un nemico dell’imperatore.
Molte delle elegie contenute nell’opera sono dal poeta dedicate alla moglie, per la quale egli ha accenti, oltre che di stima e di gratitudine, anche di profondo affetto. Ovidio canta in lei la compagna fedele, costante nel suo amore, e soprattutto la donna che nei momenti difficili sempre lo ha saputo sorreggere nella speranza.
Numerosi sono anche i componimenti indirizzati ad Augusto, e tra questi un’elegia lunghissima che occupa da sola il libro II dei Tristia. In essa il poeta, dopo aver supplicato Augusto di mitigare la sua ira concedendogli di essere relegato in un luogo più sicuro, lontano da barbari dalla lingua sconosciuta, e meno inospitale, si accinge a difendersi dalle accuse che gli erano state mosse, soprattutto da quella di essersi fatto maestro di adulterio attraverso la sua opera, ovvero l’Ars amatoria.
Ricorrono poi gli altri temi: il lamento per la propria infelice condizione, la preghiera agli amici perché intercedano in suo favore, le invettive contro i nemici, la nostalgia per ciò che è stato costretto a lasciare (le esperienze di vita, gli amori, gli svaghi, la partecipazione alla vita galante della Roma salottiera), il motivo della poesia come consolazione.
Le opere dell’esilio di Ovidio: Epistulae ex Ponto
Le Epistulae ex Ponto (Lettere dal Ponto) sono un’opera in quattro libri, di cui l’ultimo pubblicato postumo. I componimenti non sono disposti in ordine cronologico; sono tutti strutturati sotto forma epistolare; contengono espliciti i nomi dei destinatari, tutti personaggi romani, affinché possano intercedere presso l’imperatore per porre fine all’esilio o almeno trasferirlo in una località più vicina a Roma. I contenuti e i toni espressivi sono molto vicini a quelli dei Tristia.
Le opere dell’esilio di Ovidio: Ibis
Ibis è un poemetto in distici elegiaci di oltre 600 versi.
Il titolo prende nome dall’ibis, un uccello egiziano che ha l’abitudine di cibarsi del suo stesso sterco.
Il poeta si ispira a Callimaco, che aveva composto un’omonima operetta contro un suo nemico personale, identificato poi dalla tradizione in Apollonio Rodio, il poeta greco autore delle Argonautiche.
Chi sia, invece, il bersaglio del poemetto di Ovidio, non è dato sapere.
Il poemetto contiene una serie di imprecazioni e di maledizioni contro un suo calunniatore esplicitate attraverso storie mitiche di personaggi tutti segnati da un triste destino: chi muore annegato, chi bruciato, chi ucciso, chi divorato dalle belve. Al suo nemico egli augura di fare la stessa fine di questi eroi del mito.
Halieutica
Haleieutica è un piccolo poemetto, del quale rimane un frammento di 135 versi, sulla vita dei pesci e sulla pesca nel Ponto. Che l’abbia scritto Ovidio ce lo attesta Plinio il Vecchio, ma oggi, sia per lo stile che per la materia, si nutrono fondati dubbi sulla sua autenticità.