Tu quoque Brute fili mi! Ovvero: Anche tu Bruto figlio mio! Perché Giulio Cesare pronunciò questa frase? In quale occasione?
Lo storico romano Svetonio, nella Vita di Cesare, racconta che Giulio Cesare, il 15 marzo (le idi secondo il calendario romano) del 44 a.C., morì sotto i colpi di 23 pugnalate, avvolgendosi compostamente la tunica addosso ed “emettendo un solo gemito al primo colpo, senza una parola”. Si lasciò colpire a morte, cadendo ai piedi della statua di Pompeo, all’interno del Senato romano.
Svetonio riferisce pure che quando Giulio Cesare si accorse che tra quelli che avevano congiurato contro di lui e che lo stavano assassinando c’era anche Marco Giunio Bruto, suo amato figlio adottivo, esclamò Tu quoque Brute fili mi! Ovvero: Anche tu Bruto figlio mio! Tu quoque, dunque, significa anche tu.
In realtà, Svetonio riporta la frase in greco Kai su teknòn (Anche tu figlio), ma la citazione (rielaborata) divenne famosa con la dicitura latina.
Sempre secondo la tradizione, Bruto pare abbia pronunciato nell’occasione la famosa frase Sic semper tyrannis! (Così sempre ai tiranni!).
L’uccisione di Cesare segnò la crisi della repubblica a Roma. Infatti, nel 27 a.C. nacque una nuova forma di governo: l’impero.
La frase, anche nella forma abbreviata Tu quoque, è pronunciata ai nostri giorni, ancora in latino, per esprimere amara sorpresa nei confronti di chi, da noi beneficiato, ci ripaga con l’ingratitudine.