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La Guerra del Peloponneso di Tucidide

Tucidide nacque fra il 460 e il 454 a.C. ad Atene. Nel 430 a.C. contrasse la peste (passata alla storia come la peste di Atene), ma riuscì a guarirne.

Nel 424 fu eletto stratego e gli venne assegnato il comando di una piccola flotta per controllare le coste della Tracia, ma fallì l’obiettivo.

Da questo punto in poi le notizie si fanno assai confuse.

È certo comunque che si allontanò da Atene, o volontariamente o perché condannato all’esilio in seguito a quell’insuccesso militare.

Secondo diverse fonti morì di morte violenta, fra il 402 e il 399 a.C.; il luogo è ignoto.

La Guerra del Peloponneso di Tucidide riassunto

Il suo nome è legato al suo capolavoro storiografico, La Guerra del Peloponneso. All’opera è attribuito anche il titolo di Storie, come quelle di Erodoto.

Degli otto libri nei quali essa è divisa, il primo ha carattere introduttivo e la collega alla conclusione delle Storie di Erodoto.

Negli altri sette libri è contenuta la narrazione della guerra vera e propria tra Sparta e Atene, dall’inizio (431 a.C.) fino al 411 a.C.

Nelle intenzioni di Tucidide però la narrazione sarebbe dovuta proseguire fino alla fine della guerra (404 a.C.).

La Guerra del Peloponneso di Tucidide: il contenuto essenziale degli otto libri

Il I libro si apre con una sezione comunemente denominata Archeologia (capp. 2-19) che sintetizza la storia della Grecia, dai suoi primi abitatori fino all’età di Tucidide. Segue una premessa metodologica (capp. 20-22) in cui lo storico vi chiarisce il fine che si è proposto e il metodo di indagine di cui si è servito. Infine si passa agli antefatti che portarono allo scoppio delle ostilità fra Sparta e Atene: al motivo occasionale (il contrasto fra Corinto e Corcira, con l’intervento di Atene in aiuto degli alleati corciresi) si contrappone la causa profonda, “il motivo più vero”, “cioè il crescere della potenza ateniese e il suo incutere timore ai Lacedemoni, sì da provocare la guerra” (I, 23, 6).

Il II libro descrive il triennio 431/430-429-428: spiccano l’Epitafio (cioè il discorso funebre tenuto da Pericle in onore dei caduti ateniesi nel primo anno del conflitto) e la descrizione della peste di Atene, in cui morì lo statista ateniese.

Anche il III libro descrive tre anni di guerra, dal 428 al 426 a.C: repressione ateniese a Mitilene, conquista spartana di Platea, violente lotte civili a Corcira.

Il IV libro racconta il triennio 425-423 a.C: spedizioni di Demostene e Cleone nel Peloponneso, resa degli opliti spartani a Sfacteria, spedizione di Brasida in Tracia.

V libro: 422/421-416/415: si interrompe lo schema triennale. L’episodio principale è la cosiddetta “pace di Nicia” del 421, successiva alla morte di Brasida e Cleone ad Anfipoli, che mette fine alla guerra archidamica, cioè alla prima fase del conflitto peloponnesiaco. Molto importante è il dialogo tra gli Ateniesi e gli abitanti dell’isola di Melo, nel quale viene presentata nella sua forma più brutale l’arroganza ateniese.

VI-VII libro: 416/415- 413/412: spedizione ateniese in Sicilia, che fallì miseramente.

VIII libro: triennio 413/412-411/410: i fatti principali sono il colpo di stato oligarchico dei Quattrocento, il ritorno di Alcibiade e gli intrighi dei Persiani (ad es. del satrapo Tissaferne, che stringe un’alleanza con Sparta e contatta Alcibiade).

Tucidide: la metodologia

Tucidide sottopone le fonti a rigorosa verifica, analizza e distingue le cause, esamina attentamente le situazioni politiche, elimina tutte le esagerazioni e deformazioni degli autori precedenti, mira non all’appaluso momentaneo del pubblico ma a fornire ai posteri un «possesso perenne».

Tucidide e la cultura del suo tempo

Il pensiero dell’autore risulta fortemente influenzato dalla cultura del suo tempo, in particolar modo dalla medicina ippocratica e dalla sofistica, da cui riprende l’idea dell’uomo al centro della storia; Tucidide esclude dunque dalla sua prospettiva gli dèi, gli oracoli, i prodigi.

Focalizzando l’analisi dei fatti sul comportamento umano, Tucidide ricava delle leggi generali che governano la storia, immutabili come la natura dell’uomo. Fra queste è preminente la supremazia del più forte, più volte ribadita nel corso dell’opera.

La ricerca costante di imparzialità e l’influenza della cultura del suo tempo, in particolare della sofistica, portano Tucidide ad e laborare una sorta di relativismo: lo storico non si pronuncia in assoluto a favore di nessun modello politico, ricercando piuttosto la forma di governo che meglio si adatta alla natura e alla cultura di una città.

Il pensiero politico di Tucidide

Tucidide si esprime positivamente sul governo dei Quattrocento, caratterizzato da «moderata mescolanza fra oligarchia e democrazia» (VIII 97, 2), così come mostra ammirazione per Sparta (I 18, 1) senza comunque ipotizzare che la sua forma di governo possa essere trapiantata ad Atene. Allo stesso modo il governo di Pericle incontra la sua approvazione, per la felice sintesi di radicalismo e approvazione.

Ben diversamente sono valutati i successori del grande leader: ad eccezione di Nicia, essi perseguirono solo i propri interessi personali: Alcibiade fu capace di sacrificare tutto alla propria ambizione, il demagogo Cleone fu responsabile della rovina e della sconfitta di Atene.

Altrettanto duri sono i giudizi espressi nei confronti della massa, che appare volubile e incompetente e che necessita di essere indirizzata rettamente da chi detiene il potere.

Tucidide: lingua e stile

La lingua è l’attico. Nessuna concessione al “favoloso” o agli abbellimenti oratori. Lo stile, complesso e denso, (l’opera era destinata alla lettura e non all’ascolto) predilige la variatio e l’antitesi.

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